Mi fido del mare, di Carla De Angelis, edito da Fara e prefato da Alessandro Ramberti
Mi fido del mare – Carla De Angelis – Fara – Pagg. 112 – ISBN
978 8894903133 – Euro 10,00
Prefazione
“La corsa dell'auto prende il buio / (…) / l'asfalto ruvido frena e un grappolo di rami / scivola sugli occhi” (p. 30): già questi soli tre versi ci danno un'idea della capacità di vedere oltre, attraverso e intimamente (caratteristica di ogni autentica voce poetica) di Carla De Angelis. La sua poesia è semplicemente carica di vita, una vita che sa offrire al lettore con un rispetto e un decoro pulsanti, in grado di fotografare in profondità ma senza “violare”, capace di donare musica ma senza cullare: siamo chiamati alla nostra responsabilità, a non accontentarci del “destino”, ad aprirci a una trascendenza elusiva o addirittura nascosta e incomprensibile, eppure lì, qui e dentro l'anima di ciascuno di noi: “la strada è tracciata – fingo di non saperlo / provo a recitare // Sono un contorno del mondo / non oso deviare” (p. 43); “Non sappiamo fare di più che / apprendere a vivere e morire // E credere di vivere ogni giorno / insieme a nostalgie che spingono altrove / come la corrente un tronco sul fiume” (p. 48); “Eppure amo questa vita che fa di me una persona / impreparata inquieta” (p. 105).
La poesia, come la preghiera, ha bisogno di silenzio, di raccoglimento che spesso (ci confida Carla nella Introduzione) è notturno. Ha pure bisogno di bellezza, la poesia, di spazi naturali (il mare in primis) che con la loro sola maestosa presenza allargano l'orizzonte e infondono fiducia perché ciò che è meraviglioso e sublime rimanda al mistero dell'universo, al chi siamo, al senso di una condizione umana intreccio di cose buone e cattive, di crudeltà terribili e di santità, di cose razionali e di altre che sfuggono alla nostra comprensione, di musica e di rumori stridenti e sinistri: “Signore come potevi credere che al / rito del sole caldo su quell'albero / saremmo restati muti e con le braccia intrecciate?” (p. 84); “Amo così tanto il mare / che vedrei azzurra anche la morte / se mi cogliesse mentre nuoto / verso l'altra sponda” (p. 99).
Le metafore e le immagini che troviamo disseminate in queste pagine sono impastate di suoni, i colori emanano profumi, le considerazioni sono veicolate da emozioni intense e spiazzanti ma discrete, mai esibite, e sempre, sotteso, c'è un filo di ironia, uno sguardo laterale (“un soffio di luce”, p. 16) che ci suggerisce di tenere d'occhio quella parola negletta, quel particolare di poco conto che sono però il grimaldello per squarciare la banalità (anche quella terribile del male che schiaccia tanti bambini, v. p. 50), per scuotere la superficie comoda e omologante dell'apparenza e dei Mi piace (v. p. 51): “Non è una stanza è un angolo / la finestra un quadrato / faccio il girotondo immersa / in strati di mappe / cerco il posto che mi spetta nel cerchio” (p. 15); “– Il grano maturo sembra mare / ma profuma di pane –” (p. 34); “la risata del vento ci contagia” (p. 46). La poesia è in grado dipanare le più intricate domande, i nodi emotivi più ostici (v. p. 58) e Carla la lascia fare, con umiltà, ponendosi in ascolto di sé stessa, degli affetti, della realtà di questo mondo in cui il messaggio di Gesù sembra essere ignorato dai più (“Perché ha detto che i ciechi vedranno?”, p. 57) e ponendo a tutti noi una domanda da farci ogni giorno: “perché qui adesso?” (p. 65). Sì, la “poesia non è fantasia / è uno squarcio tra i raggi del sole” (p. 79).
Alessandro Ramberti
