La mia casa, di Gabriele Oselini, edito da Fara e prefato da Gino Ruozzi
La mia casa – Gabriele Oselini – Fara – Pagg. 64 – ISBN 97888 97441 43 4 – Euro 11,00
Prefazione
In queste poesie di Gabriele Oselini si avverte la rigorosa ed energica misura espressiva di Giuseppe Ungaretti. È singolare, a quasi un secolo dalla composizione del Porto sepolto, trovare una voce così in sintonia. Le immagini, il lessico, la struttura dei versi, l'assenza di punteggiatura e il respiro corto e frammentario ricordano quel modo di raccontare e illuminare per versi.
A cominciare dal testo che apre la raccolta, non a caso intitolato a una data, 13 dicembre, che sigla l'inizio di un nuovo percorso esistenziale definito, ora per sempre, dall'assenza della “madre dolcissima”. La mia casa si apre con questo congedo drammatico, anche se accompagnato dalla dolcezza dell'ultimo saluto e dalla solidarietà degli amici. Ma “la mia casa” del poeta sarà d'ora in poi, per forza, diversa.
Il contrasto luce-buio, attimo-eternità dà l'ampiezza dello sguardo vitale di Oselini, che nel particolare delle cose e delle persone quotidiane si confronta sempre col senso dell'esistenza. Nel lessico di Oselini il verbo “osservare” è di primaria importanza. Il suo sguardo è attento, registra e interroga, cerca di non lasciarsi sfuggire nulla, neppure quei “pensieri fuggenti” che come “foglie caduche” (Autunno) rinviano ai soldati di Ungaretti, fragilmente appesi e poi abbandonati al flusso precario, molto precario, della vita. Le immagini tornano: alle “foglie caduche” si aggiungono le “fugaci stelle cadenti” (Bimbi d'estate), l'“esile stelo” (Ferita), le “gocce solitarie […] appese ai fili” (Groviglio). Le cose appaiono e scappano, non è possibile afferrarle; e gli uomini sono esseri effimeri che nella foresta simbolica della natura (e della storia) specchiano la propria gracile identità.
Questo versante drammatico, sancito dall'esplicito omaggio di Isonzo, si alterna con scoppi di vitalità che ricordano Umberto Saba e Sandro Penna, leggerezza e ilarità, apparente fuga sulla superficie. Il gioco e il sorriso dei ragazzi, la solarità gioiosa che si accende e spegne con la consapevolezza adulta di un'impossibile seconda innocenza. Anche il candore del mito sportivo (Ovale), che rinvia appunto alle “parole” atletiche del grande poeta di Trieste, da Oselini svolte però non in chiave calcistica bensì rugbystica. È di fronte al mistero agonistico e al conseguente urlo esplosivo di gioia che, come Sandro Penna, non si può non dire che di “di morire mi dispiace / Di morire mi pare troppo ingiusto”.
Le due dimensioni del dramma e della commedia si concentrano in Pianto italiano nell'immagine contrastante, ossimorica, del “mio Paese / che ride / straziato”. Nella successione alfabetica data da Oselini alla raccolta leggiamo i lemmi di un dizionario personale che alterna momenti pubblici e privati, l'indignazione civile e politica con la tenerezza degli affetti, delle persone care, di una coltivata intimità.
Un tema ricorrente è quello della passeggiata. Anche in questo caso il primo pensiero va alla natura dei luoghi, alle strade, agli argini e alle golene di Po, a quel mondo piccolo e immenso descritto da Zavattini, Guareschi e, in una prossimità decisiva, dall'amico e maestro Daniele Ponchiroli. Non può tuttavia mancare la traccia delle nodali Myricae di Pascoli, dai quadri poetici dell'Ultima passeggiata all'epilogo di In cammino e Ultimo sogno. La “mia casa” di Oselini non è tra le mura di un'abitazione ma nel “respiro” del vento e nello spirito del viandante, lungo “la strada / in cerca di stelle” per tentare di dare sostanza e valore al nostro pezzo di vita e di mondo.
Gino Ruozzi
