logo
homeLetteraturasep
La bambina melodrammatica, di Adele D’Addario, edito da ChiareVoci e recensito da Giuseppe Carlo Airaghi

La bambina melodrammatica, di Adele D’Addario, edito da ChiareVoci e recensito da Giuseppe Carlo Airaghi

La bambina melodrammatica – Adele D'Addario – ChiareVoci – Pagg. 67 – ISBN 9798336790696 – Euro 10,00


Postfazione


Il poeta è un un fingitore.” dice Pessoa “Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente”. Poco importa quindi se il dolore, la rabbia, la ribellione che Adele D'Addario descrive e testimonia nei versi di questo libro siano completamente autobiografici, lo siano in parte oppure siano frutto di iperboli poetiche. Perlomeno poco importa agli occhi di chi scrive questa nota perché l'annosa questione se sia più o meno importante conoscere la biografia di un'autrice per capirne appieno l'opera è una questione che arrovella da tempo gli addetti e gli appassionati di poesia e di letteratura e che continuerà a riproporsi senza mai fortunatamente trovare una sola definitiva risposta. Da parte mia ho maturato la convinzione che i dati biografici importanti dell'autore o dell'autrice siano il periodo storico e il luogo geografico nel quale opera, dati che, a parer mio, che ci permettono di contestualizzare e accogliere il testo nel proprio alveo, nel mondo di appartenenza, nello Zeitgeist pertinente. Tutto il resto non è che letteratura e trasformazione dell'autore in personaggio. In questo libro la D'Addario, perlomeno nella prima sezione, narra la propria dolorosa elaborazione della fine di un rapporto amoroso, argomento quanto mai abusato e che da tempi immemori riempie le pagine di innumerevoli libri come i testi di innumerevoli canzoni, Ciò che rende vivo questo libro, malgrado la tematica abusata, è il modo in cui la poetessa distilla la materia letteraria, ne fa spudorata confessione e versa nel bicchiere del lettore il succo universale della sofferenza, della faticosa accettazione di tale sofferenza, degli animaleschi tentativi di riscatto e di affrancamento. Questo è ciò che realmente importa, questo è ciò che la D'Addario mette in scena e fa risuonare nelle viscere e nei ragionamenti di chi si avventura con lei in questo cammino dal buio alla luce. Questa capacità evocativa che la D'Addario mostra in queste poesie si distanzia non solo dal dato biografico ma anche da quello contingente. Questa assenza sentimentale e amorosa, questa inaccettata interruzione di un rapporto talvolta pare si sublimi in una assenza di carattere ancor più ampio, esistenziale, in una richiesta di risposte ultime, in un tentativo di trovare un senso al nostro esserci quotidiano. Apprezzo la poesia della D'Addario per i sentimenti forti ed elementari che esprime, così universali, così condivisibili. Una poesia in cui è naturale riconoscersi e identificarsi, dove l'emozione traspare priva di sentimentalismi attraverso una lucida investigazione del reale e il libero corso della rabbia e di un selvaggio rifiuto di ciò che potremmo chiamare destino.

Non ci troviamo quindi di fronte a facili e ruffiani sentimentalismi, ci troviamo invece di fronte all'alchimia che la poesia è in grado di mettere in atto quando attraverso le parole proietta immagini vivide e memorabili, ci troviamo di fronte alla capacità di rendere reali e concreti e visibili agli occhi del lettore gli avvenimenti evocati. Seguendo il solco delle più collaudate tecniche narrative in questo libro si narra il percorso che dalla crisi passa alla lotta e dalla lotta approda a una risoluzione, con o senza lieto fine lo stabilirà la sensibilità e la personale biografica del lettore. Questo è il primo livello di lettura, il primo strato di terra letteraria che il lettore incontra. Scavando sotto il primo strato viene portata alla luce la poesia. Perché quando la poesia è davvero valida allude sempre ad un altrove, opera uno slittamento di percezione, rimanda a uno scavo ulteriore, più profondo, a ulteriori significati senza mai venire meno alla fedeltà nei confronti dello strato più evidente, quello in superficie. Adele D'Addario lo fa utilizzando un linguaggio contemporaneo, che affonda le proprie radici in un solido terreno di tradizione lirica ma che si spinge in territori che potremmo definire pop in cui risuona l'eco di rime interne nascoste e di quelle ben visibili a fine verso. D'Addario usa una lingua piana, comprensibile che rifugge artifici, abbellimenti inessenziali e virtuosismi fini a se stessi.

Malgrado non miri alle altezze rarefatte del sublime punta comunque decisa alla verticalità del verso piantando al contempo con decisione i piedi a terra, nel quotidiano. Questa schiettezza e questa chiarezza formale vengono attraversate a tratti da metafore spiazzanti e inaspettate che innescano complessità ma non complicazione nel tessuto sintattico e semantico. Termino queste poche righe riconoscendo il coraggio della D'Addario. Il coraggio di mettersi a nudo, di esporsi, di confessare le proprie debolezze, le proprie perversioni, le proprie dipendenze. Siamo di fronte a quella che potremmo definire con una certa approssimazione poesia confessionale. Una poesia che, in un qualche modo, ricalca le orme tracciate da una dei numi tutelari della D'Addario: Sylvia Plath, ma una Sylvia Plath meno autodistruttiva, meno psicotica e per sua fortuna capace di uscire della foresta nera in cui credeva di essersi smarrita definitivamente e di raggiungere radure di sereno e spazi di luce in cui accamparsi e respirare.


Giuseppe Carlo Airaghi