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Poesie minuscole, di Colomba Di Pasquale, edito da Fara e recensito da Anna Ruotolo

Poesie minuscole, di Colomba Di Pasquale, edito da Fara e recensito da Anna Ruotolo

Poesie minuscole – Colomba Di Pasquale – Fara – Pagg. 96 – ISBN 9788892930070 – Euro 10,00



Postfazione



Poesie minuscole, leggère, l iberate



Colomba e il suo nome aereo hanno un modo di fare e disfare il mondo molto concreto e serio, sebbene alto sopra le cose, come a misurare lo sguardo su ciò che accade e che è degno di resi­stere e ciò che invece va lasciato scorrere, dimen­ticare e andare.

Conoscere per luminescenze il poeta di cui si scrive è una fortuna, un dono che arriva tra la carta e la lettura, è un affinamento di ciò che si sente: in questo parto avvantaggiata.

Ma non si scoraggi il lettore che si appressa ai versi della poetessa: lo sforzo resta sempre aggra­ziato e il risultato è un accrescimento personale. E questo c'entra poco con le parole scambiate ol­tre i fogli delle dichiarazioni pubbliche.

Dopo altre prove di forza e costanza, Colomba Di Pasquale ritorna, in punta di piedi, con le sue Poesie minuscole e mi sono confortata con il dizio­nario Treccani online per avere ragione, anche solo per me stessa. Ma la lingua non mente, spe­cie quando fa il suo lavoro severo ma giusto.

Sono davvero minuscole, le nuove poesie. Sot­traggono, senza requie, qualcosa che apparente­mente è perduto. Come dal latino che chiarisce: “subtrahere «trarre di sotto», comp. di sub «sotto» e trahere «trarre»” in uno dei sensi, quello del “Por­tare via, togliere, e in partic. togliere al contat­to, agli sguardi, o anche salvare da un pericolo e sim.” (cfr. www.treccani.it/vocabolario/sottrarre). Mi piace vedere in questa accezione la torre perfet­ta e stabile che Colomba Di Pasquale costruisce, mattone su mattone, liberando fiati ed essenze, pietruzze e vite da un qualche terremoto del di­sordine.

I versi sono due, tre, massimo sette. A volte ag­giusta una rima, a volte soccorre un racconto di poche sillabe, a volte la quadra è felice e miraco­losa, con le parole perfette messe al posto giusto, nel momento giusto.

L'intento è dissotterrare da una terra fecon­da il frutto maturo, cresciuto al buio, ma senza abbellire il gesto con niente, mettendolo soltanto così sul piatto, pronto per essere mangiato. La sorpresa può paralizzare, può donare un morso amaro, per chi non vuol sentire, o un assaggio di pace e di verità.

Eppure, nella fissità perfetta degli attimi tolti alla marea di suoni e voci e dimensioni, Colomba traccia un pianeta di colori e odori e di vie fami­liari e sicure, spesso combinate con la sua stessa presenza, la disponibilità di essere qui e ora, di accadere nel passaggio del tempo e di consistere in un punto fermo, una cosa tanto antica e tanto meravigliosa.

Le perdite non sono che fermate per valutare il mistero del mondo, guardando le “soste di una farfalla”, “la chiusa del giorno”, “il sonno” o le “ombre (…) sulle spiagge e sui sentieri”.

Il resto è cura, fatica, smarrimento, domeni­che a scrivere versi con le matite di Ikea, semina­te poetiche, nevicate, tristi pensieri che aleggiano sulle mensole e nei sottotetti, confessioni d'amore, versioni spirituali della vita e del dolore, antiche e nuove similitudini per la solitudine. In questo bestiario moderno e incalzante niente manca perché tutto è sentito, vivo nel ricordo, e la me­moria battezza ogni cosa nata e le passa vita da un testimone di legno.

Di legno anche la barca stanca dal viaggio del mare, tanti gli abbattimenti nei giorni, il rifiuto e poi l'accoglienza degli altri, specchio di sé. Molta solitudine, tanto aver compreso dell'esistere.

Considero questo lavoro della poetessa un punto di atterraggio da precedenti indizi e sen­tieri, rotte di cielo non ancora attraversate, con quell'ultima poesia in chiusa d'opera che rivela il grado di concrezione e fatica, di pulizia e decoro ma anche di svuotamento profondo del mondo in­teriore, come ripensato dentro il lavoro dei versi. Arriva, infatti, una concreta risposta al doman­dare delle situazioni che accadono e non aspet­tano che essere sistemate, chiamate per nome e, così, liberate per sempre. Pronte per partire, per ricominciare. Finalmente piccole, minuscole, leg­gère, disciolte, immortali.


Anna Ruotolo