Quel nido sul gelso, di Claudia Piccinno, edito da Besa Muci e prefato da Enzo Bacca
Quel nido sul gelso – Claudia Piccinno – Besa Muci – Pagg. 80 – ISBN 978-88-3629-454-1 – Euro 14,00
Prefazione di Enzo Bacca
Il ritorno alle origini nel passionato confronto con la natura, uno sguardo sul mondo, la casa come nucleo primordiale ed essa stessa finestra aperta sui mondi.
Un ritorno alle radici, un nido sull'albero di gelso che nessun vento forte di tramontana o scirocco ha mai divelto. Né la pioggia d'autunno, né la fionda
del monello o del cacciatore, nemmeno la poiana sul traliccio di fronte, in attesa dello schiudersi delle uova. Pagliuzze e saliva e piume e fango ed erba intrecciate ad arte, ben salde al ramo. Questo è l'amore che Claudia dona e sente per la terra natia: il Salento. Tra un arrivederci e un ritorno, e il prossimo treno che attende e che parte su quel binario che è simbolo della vita stessa. Quel nido sul gelso è sempre lì, dove allocano i sentimenti, le pulsioni, l'amore. È in alto, quasi nascosto da occhi indiscreti, arroccato tra le fronde. L'albero del gelso (sia esso bianco o a more rosse o nere), secondo una tradizione dettata e definita dallo storico Plinio il vecchio, rappresenta la saggezza, il più savio degli alberi, poiché attende con pazienza che siano scongiurate le gelate più tardive per gemme e fogliame. Per i Greci, il gelso è una pianta consacrata al dio Pan, ricca di simbologia, intelligenza e passione.
Claudia sorseggia ogni volta il liquore medicamentoso della lontananza per attingerne linfa. Quel flusso vitale d'una terra avara e calda che prepara il
desco d'ogni prelibatezza a ogni ritorno. Ecco, le ra dici, che dal suolo risalgono il tronco e si trasformano in rami e fogliame e frutto e accolgono il nido, la
culla, il ventre.
Quel nido sul gelso è il titolo della silloge in versi che la poetessa Claudia Piccinno dedica alla sua terra, ai suoi affetti, ma anche al mondo che la circonda, nel vorace trambusto dei tempi che attraversiamo, nelle gioie e nei dolori, con uno sguardo rivolto oltre la finestra. Quel mondo esplorato e da esplorare appieno con la consapevolezza e la libertà che la poesia possa contribuire a migliorare l'umanità. Si pensi a Tiziano Terzani quando in una sua intervista proponeva, in maniera utopica ma sincera, una società governata da poeti “perché è solo dei poeti, della gente che lascia il cuore volare, che lascia libera la propria fantasia ed è capace di pensare diversamente, prendere coscienza dell'umanità presente in ogni uomo e rispettarla”. In quella conversazione continua con la natura e il mondo che ci circonda, a partire dal nucleo, nella fattispecie rappresentato dal nido, ecco si svela il tessuto connettivo, la trama in versi, che la Piccinno, con braccia larghe e raffinata penna mostra, mettendo a nudo il suo lato più intimo. “Ecco, così sono” dice
l'autrice. E questo, il tutto, il nostro, in relazione con la terra, la madre terra che ha radici profonde nelle vene della poetessa, e si estrinseca attraverso
versi, a volte dolci, soprattutto nel tratteggiare gli affetti più cari, nelle microstorie e macrostorie a più voli, nei rimandi al territorio salentino. A volte i
suoi versi sono ancorati al dubbio, esistenziali, come nella terza parte del volume, in una conversazione continua col dolore intimo e sociale. La natura è
protagonista nei versi di dialogo che giungono a Dio, all'eternità dei luoghi, al mistero delle cose.
Comunque, nella certezza che i piedi sono sempre e ancora ben saldi nel solco origine, i dilemmi che affliggono il viandante nel corso della propria esistenza non ostruiscono la ricerca del tempo e della verità, ma sono lo specchio della caducità della vita, dell'uomo in relazione con sé stesso e con i propri simili. Eppure, come nella chiusa della poesia che apre la silloge, un preludio di nuova cova, speranza nelle generazioni che schiudono al mondo: Alito nuovo pervade quel nido sul gelso. Ciò non potrà avvenire senza l'ausilio di una mano che presuppone una luce divina, dapprima nella riflessione intima, Amami Dio, perché nella beatitudine del tuo infinito io riposerò. “Ecco, io sono questa, davanti a te” sussurra Claudia, a cuore aperto, a mani nude, nella sincerità e nell'onestà intellettuale che la contraddistinguono. Un continuo dialogo col prossimo attraverso i versi. La ricerca dell'ignoto fatto carne. Il dialogo con la natura e i suoi elementi: la pioggia il vento, le stagioni; la luna, alla quale rivela sono nella tua luce i miei cari (antropomorfa essenza del creato).
Richiami e afflati di leopardiana memoria, nel respiro, nella quiete, nella tempesta da ammansire, tanto tutto scorre. E corre e vola il treno, fuma e
vola e tutto si svela al passaggio, intanto lontano un cormorano solca l'azzurro. Ci sarà mai pace vera in seno?
Se la parte iniziale della silloge, denominata CONVERSANDO CON DIO apre all'infinito, al confronto continuo col creato, la natura, nel mezzo del cammino, tra le costole, in fondo al cuore, troviamo persone e cose, appartenenze e intimità legate agli affetti più cari.
CONVERSANDO CON GLI AVI il titolo della seconda sezione del libro. Zio Tore, zia Lela, nonna Anna, con la quale la poetessa sembra ancora avere un dialogo perpetuo:
Ancora ti prego:
Non nasconderti
Nel tuo altrove
Attendimi sull'uscio.
Sono le voci, i respiri perduti che tornano, gli avi sono sempre lì che attendono un gesto, seduti a sorseggiare un caffè o una granita di limone, negli orti di aranci. Le stanze del nido si riempiono di odori, di afrori, del profumo della salsa, le foglie di basilico e i rossi gerani che un tempo la madre curava sui davanzali a primavera. E forse dalla vecchia macchina fotografica il ricordo che induce a una riflessione profonda. L'oggetto che diventa luogo, ma anche “logos”, parola, carne viva nel tempo rarefatto di uno scatto che riporta alla spensieratezza, alla giovinezza. Il respiro antico del padre, il sorriso ancora vivo, a voce bassa:
Respira dalla Polaroid di un tempo
il sorriso del babbo.
Il solco dei padri tracciato nei tempi, il volto di tante genti che hanno tramandato usi, costumi, abitudini, colori, idiomi, un mondo di accoglienza che
anche oggi troviamo nel sangue del popolo salentino. Lo sguardo rivolto altrove per ritrovare le origini. Nella Terra del rimorso, come la descrisse Ernesto De Martino in un importante saggio del secolo scorso, vive, ama, crea Claudia Piccinno, seppur lontana, da una terra, altrettanto parca e calda di humanitas tra le genti d'Emilia e di Romagna, nella dotta Bologna.
La terza e ultima parte del volume in versi “Quel nido sul gelso” volge occhio e canto verso il vicino da amare e rispettare, nel dialogo continuo nel costruire
ponti, quello che sicuramente la Nostra fa con la sua poesia, le traduzioni di autori stranieri, il suo impegno sociale, la sua libertà intellettuale. Dote assai
rara di questi tempi travagliati e “babelici”, dove le parole: pace, fratellanza, inclusione stazionano sconfinate nelle retrovie della “dishumanitas”. L'accorato
appello, in queste pagine della “poetessa del sorriso” è rivolto a noi all'umanità repressa e schiavizzata dai cloni di noi stessi, da un mondo globalizzato che stenta a ritrovarsi nelle buone intenzioni di chi ha creduto e crede ancora che determinati risultati si possono e si devono raggiungere col dialogo e la moderazione, col disarmo e l'accoglienza. Questo, evidentemente, ancora non è. Il rammarico della poetessa tra le righe nel dolore di una madre, ma anche tanta speranza. Nel canto “Per Eda Zhiti” lo sguardo verso il figlio: Ecco una
donna / che impasta il dolore / come il pane fresco, / fragrante / ogni mattina. /Negli occhi di Eda l'infinito / e una dolcezza apolide, / che appartiene / all' “orfanitudine” di tutte le madri.
Il dialogo e l'amicizia e la vicinanza verso un popolo derelitto e costretto all'esodo si evincono, a cuore aperto, nella dedica dei magnifici versi per Fatma
Nazzal nel dolore per la perdita di una persona cara:
Porto i resti di mio fratello nello zaino.
È tutto quello che mi rimane.
Muoiono i bambini in Palestina.
A volte sopravvivono, ma
perdono occhi, orecchie, arti,
un padre, una madre, un fratello.
La speranza di un tempo, dove ogni occasione di dialogo era vista come manna caduta dal cielo, una risoluzione pacifica dell'eterno conflitto israeliano-palestinese, ultimamente si sta sciogliendo sotto i colpi inferti dall'indifferenza dei potenti, dalla prepotenza e dalla viltà di molti.
Si incupisce la Piccinno e ne ha ben donde, forse ha ragione quando afferma che Unico passeggero è l'oblio / sul mio volo notturno. Quale vestale del tempio, o saggia Sibilla, la “sacerdotessa” Claudia, da par suo, tuttavia, conclude la silloge con un grido di speranza, nella primavera di rinascita:
Esplodono primule e viole
al primo timido sole.
Il gatto alla finestra s'inebria
d'azzurro che avanza.
Marzo accoglie primavera
nella brezza della sera.
Si dirada il nero pensiero
se scorgo il passero sul pero.
Sull'albero della vita, sul gelso della sapienza è ancora intatto il nido, pronto ad accogliere i frutti del creato, la nuova cova. E se qualche pagliuzza è scivolata via col battere del vento, Claudia è pronta a riparare, a rinsaldare, con mani nude e resilienza, con i versi e le braccia aperte sul mondo.
Il treno vola, cara Claudia, fuma e vola e tu guardi dal finestrino l'azzurro volo d'un cormorano. Magari la direzione presa ad ali spiegate è verso sud, sud-est, dove volano questi versi e la tua terra màtria, il Salento, attende ogni ritorno.

