Samira, di Tiziana Monari
Samira
di Tiziana Monari
A Samira Sambzian Fard *
Ora che la morte si china su di me con materna tenerezza
e l'anima accoglie il silenzio
lo ricordo il colore del lago che evaporava al sole
la filigrana di nuvole che si muoveva in chiaroscuro
i falchi fermi nella sospensione del cielo
c'era un vento che negava persino la preghiera
la gestazione del dolore e l'urlo di violenza del suo sguardo
la cantilena dei salmi, i ferri pesanti, le tempeste d'insulti
ogni giorno mi imbrigliava la lingua con i suoi ordini
ed io odiavo il naso camuso,la piega oscena del collo
gli scudisci, l'impudicizia di un uomo padrone
quel nero profondo degli occhi, sempre più oscuri e cattivi.
Cercavo la compassione di un Dio che non c'era
che non volse mai il capo all'indietro
anche quando avevo la forza di un fiocco di neve e sentivo l'ululato del lupo
il rumore dell'angoscia e del niente
e poi mi apprestai a salpare per un mare lontano
le foglie che alzavano vele,il giorno che declinava al tramonto
l'aria era piena di grida ed io ero solo un silenzio taciuto,trasparente, affilato
le ombre calavano sul selciato sconnesso
in bocca il sapore di terra e di vento
lontano un lamento di treni,un bagliore di automobili in fuga
c'era solo un torpore tra le pieghe del buio
sottile come un sentiero a matita,un crepuscolo porpora
la sera che diveniva un lume lontano
me ne andavo nell'azzurro di maggio
pensando alla pioggia che picchiava sui vetri
ai miei figli che sorridevano a stento,alla morte che mi sfiorava nel buio.
* Impiccata in Iran per avere ucciso il marito violento che era stata costretta a sposare appena quindicenne