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Nando, di Ernesto Flisi

Nando, di Ernesto Flisi

Nando

di Ernesto Flisi



Carattere esuberante e passionale, fisico possente, era nato in un paese della Bassa, vicino al Po e aveva ereditato lo spirito un po' rude, ma schietto di quel mondo. Pur provenendo da una famiglia modesta, era riuscito a laurearsi, anche se con notevoli sacrifici. Era diventato insegnante, ma, assieme alla partita doppia, prorompevano abbastanza spesso commenti o esclamazioni nello stretto dialetto locale. I ragazzi lo temevano e lo amavano al tempo stesso, soprattutto ne temevano le sfuriate, ma ne amavano la schiettezza.

Comunista convinto, cacciatore incallito, amante del bosco in golena, al punto di essersi costruito una casa al centro di un pioppeto (al di qua dell'argine maestro, ma se avesse potuto l'avrebbe costruita in riva al fiume), aveva partecipato, ancora ragazzo, alla lotta partigiana degli ultimi mesi. Nessuna operazione ardita, come del resto tutti i partigiani della Bassa che non erano partiti per la montagna e si erano dovuti scontrare in pianura aperta soprattutto con le camicie nere, più che coi tedeschi. Era un mondo nel quale l'appartenenza ribelle non raramente si doveva misurare con pulsioni tutt'altro che nobili. Vuoi però per il carattere volitivo e che non ammetteva tante repliche, vuoi per il suo coraggio al limite dell'incoscienza, vuoi per la sua superiorità culturale, si era guadagnato sul campo un ruolo di comando. Certo col moschetto ci sapeva fare, ci dormiva anche, ma credo che non abbia mai ammazzato nessuno, semmai fatto vedere sorci verdi o provocato dissenterie. Dietro il suo carattere rude, il suo disprezzo per le “mezze calzette”, come le chiamava lui, albergava un cuore generoso e disponibile. L'importante era accorgersene e certo lui non ne dava molto motivo.

Finita la guerra e la sua parentesi “gloriosa”, aveva continuato la sua militanza comunista, ma il mondo della politica, dei calcoli di convenienza, pur se onesta, non facevano per lui. Gli dava poi un fastidio enorme la constatazione che ora nel partito militavano, si fa per dire, persone che al tempo del Fascio non avevano propriamente dimostrato una grande passione politica, come adesso invece esternavano. Quindi si allontanò sempre più dalla militanza politica. Qualcuno della sua parte colse con soddisfazione la sua scelta: una testa difficilmente irreggimentabile non era utile, anzi.

Si limitò così a svolgere con dedizione la sua attività da insegnante, certo non aveva messo in tasca il suo carattere, la sua prestanza fisica, la sua passionalità. A scuola andava in giacca e cravatta (“La scuola è un luogo serio”, amava ripetere); non disdegnava talvolta di far notare che sotto la camicia, anche in pieno inverno, non portava mai la canottiera. I suoi studenti apprezzavano la sua competenza, ma sbiancavano (specie le ragazze) quando arrossiva improvvisamente e scuoteva la sua chioma per una bestialità pronunciata inavvertitamente nello svolgimento di un esercizio. Sapeva però anche gratificarli per un bel risultato, con grandi pacche sulle spalle e con occhio più benigno per le ragazze, per le quali ammetteva schiettamente la simpatia.

Epici erano i suoi interventi in Collegio Docenti. A volte apparivano come temporali estivi, senza che il consesso (che per la verità lui non amava molto), dominato numericamente da professoresse ordinate, misurate e ligie alle direttive del Preside, ne avesse le avvisaglie. Si faceva allora un silenzio generale, fin che cessava la tromba d'aria.

Andato in pensione, era tornato nella sua casa nel pioppeto. Non c'era collega o amico che andasse a trovarlo e che non fosse insistentemente costretto a fermarsi a mangiare qualche fetta di salame e a bere una bottiglia di lambrusco spumeggiante che lui sturava con orgoglio. Oltretutto, per andarci quella casa bisognava proprio cercarla con pazienza. A chi però chiedeva come raggiungere la casa di Nando o del professore, tutti sapevano indicare gli stradelli sterrati e le capezzagne per arrivarci.

Non aveva figli. La moglie era morta da qualche anno per una patologia cardiaca, che qualche sua maliziosa collega aveva attribuito alla vita trascorsa accanto a un energumeno (così lo definiva) come Nando.

Viveva lontano dallo scorrere normale della vita civile. Qualche volta lo si vedeva nell'osteria del paese a dare le sue vigorose pacche sulle spalle e ad accendere qualche discussione, ma col passare degli anni le sue presenze si diradarono.

Quando morì lasciò scritto che non voleva funerali; stabilì che il suo corpo dovesse essere cremato e le ceneri disperse in Po. Così fu fatto.

Di lui sembra essere rimasto nulla, ma talvolta ancora in paese si narrano, ingrandite, le vicende di Nando. Uomini così sembrano scomparsi, ma non nei ricordi della gente comune di quei paesi.