Era candelora e Minimi blog, di massimolegnani
Era candelora
di massimolegnani
Camillo non fece caso al prolungato scampanio che festeggiava una qualche ricorrenza religiosa che d'altronde non gli interessava, lui non frequentava la chiesa.
Era Candelora, ma lui non lo sapeva, come nulla sapeva del rito cristiano della benedizione dei ceri nè della precedente festa pagana del ritorno alla luce. Piuttosto, quella mattina, scorrendo il calendario, si era accorto che esattamente quel giorno, il 2 febbraio, era equidistante dal solstizio d'inverno e dall'equinozio di primavera. A Camillo piacque quel ritrovarsi a metà del guado dell'inverno e gli sembrò di aver scoperto, con quella casuale constatazione, il meccanismo segreto che lega i giorni uno all'altro e regola così lo scorrere del tempo. Guardò fuori dalla finestra, il cielo, dopo giorni di nuvole grigie e di nebbia costante, era finalmente terso, un ottimo auspicio per fare qualcosa di speciale. Di solito propenso alla poltrona che ingrassava al posto suo, sentì per una volta il bisogno fisico di agire, così mise il guinzaglio al cane e uscì con lui per una passeggiata verso la campagna.
Camminò per ore, lui che camminatore non era, vagò senza una meta ma con un'impellenza nuova, prima verso il fiume poi verso il santuario, lordandosi i pantaloni nel fango e gioendo della luce azzurrina che pioveva dal cielo e che la brina riverberava in terra. Ogni tanto il cane puntava a coda dritta e zampa alta ipotetiche prede, Camillo anche lui puntava ad occhi fermi qualcosa d'invisibile che forse era l'orizzonte o forse un'utopia.
Tornò a casa sfinito che era quasi sera. Si sentiva soddisfatto ma qualcosa ancora gli mancava per dire straordinaria la giornata. Frugò nel cassetto dei dispersi fino a trovare quattro mozziconi di candele di quando la corrente elettrica spesso mancava all'improvviso. Le accese, le incollò con la cera colata alla base di un contenitore e le posizionò in fondo al tavolo. Prese qualche mestolata dal minestrone che ribolliva sulla stufa e si sedette a cenare all'altro estremo del tavolo. Tra una cucchiaiata e l'altra alzava lo sguardo alla luce delle candele. La loro luminosità incerta e salda lo inondò di pace, come una santificazione.
Minimi blog
di massimolegnani
Ci sono chicche da scoprire o ritrovare dopo una navigazione urbana senza coordinate, un vagare per le viuzze strette del cardo e decumano, un portone poco istoriato ma fascinoso di odori e storia, suoni, ti aprono e ti trovi davanti a una chiocciola di scale, minimi blog poco frequentati come fossero locali pubblici per assurdo sistemati al quinto piano senza ascensore.
Dieci rampe da scalare a scoraggiare i poco motivati, gli annoiati, i pigri. Poche stanze al quinto piano, piccoli appartamenti dalle porte aperte e dai soffitti a spiovere, un lucernaio sopra il letto che confonde la notte con il mare, un terrazzo angusto dirimpetto all'altro e gelsomini speculari che crescono e s'allargano come ci fosse spazio, una sedia a testa, bianca di lacca, per incrociare parole centellinate col caffè.
Qui ci si arriva solo se si è curiosi o illusi, se si è di quelli che ancora amano i vecchi ballatoi, affacciarsi alla ringhiera, i gomiti a contatto della ruggine, i fiati fianco a fianco, e gli occhi persi a guardare i tetti per vedere la bellezza oltre le tegole, che basta un gatto che passeggia sulla colma, un campanile un po' sbilenco, un abbaino tutto infiorato o il chiarore rarefatto che sale dalle strade contro il cielo per illudersi di essere all'incanto, essere qualcosa, e far dell'illusione merce di scambio rara.
Pochi sguardi, qualche voce, qui al quinto piano tanto si tace, qualcosa si racconta, altra si ascolta, manca la fretta e il cicaleccio della via, minore è il fiato, forse disperso per le scale. Come in cima alla montagna le parole sono rare e basta il gesto consumato dalle labbra a farle più gradite. E se acquisti confidenza ti viene spontaneo chiedere perché non vi trasferite sulla via battuta, perché non aprite un locale alla moda a bordo strada con luci accattivanti, divanetti, musica, e magari un imbonitore sulla porta ad attirare la clientela? Loro ti guardano un poco inorriditi, scrollano le spalle, ti indicano le scale, forse per cacciarti o forse per suggerirti muti che quelle, le scale, sono la giusta scrematura dall'eccesso e dal ciarpame. E allora non insisti, ti godi le parole belle e rare come vino buono e ti dici fortunato di essere uno dei pochi a sapere l'indirizzo del locale.