Solo brevi domande esiliate, di Griselda Doka, edito da Fara e prefato da Pierino Gallo
Solo brevi domande esiliate – Griselda Doka – Fara – Pagg. 96 – ISBN 97897441694 – Euro 9,00
Prefazione
Una, nessuna, centomila. Lo slogan, di pirandelliana memoria, accende immediatamente in noi diverse spie emozionali: una cattura il passato letterario a cui quest'inno dell'uno e del molteplice si ricollega, un'altra ci invita ad un significato più profondo, linguistico, legato ai sememi, ovvero alle radici di senso delle parole stesse.
Il gioco di alternanze, allora, si disegna ai nostri occhi con disarmante armonia: presenza, assenza, presenza del molteplice. A questa triade, aggiungiamo la colorazione di genere; non si tratta del Vitangelo Moscarda di Pirandello, ma di una donna, albanese di origine e poetessa di vocazione, Griselda Doka.
Tutto ciò si avverte sfogliando la sua opera prima Solo brevi domande esiliate. La rivelazione è immediata: queste pagine possiedono l'autorità che deriva loro dall'essere “radicate” nella storia personale di chi scrive. Una storia vissuta, esplorata, ascoltata, evocata, immaginata, rivelata attraverso la lente di alcuni punti forti.
In primis quello della migrazione, dei rituali di passaggio, che lega le poesie della raccolta come grani di un unico rosario; poi quello delle origini, del karma familiare, ciclico, operante sull'io della poetessa secondo logiche di sovrapposizione (l'empatia di alcuni versi associa l'esperienza della madre e della nonna all'esperienza di chi scrive); infine quello della lotta, il nodo politico legato alla dittatura comunista albanese e ai bagliori del Partito.
Seguendo questi filoni, i componimenti d'apertura si pongono nel solco retorico dell'ottocentesca Invitation au voyage. La poetessa si interroga in limine sui grandi nodi della corporalità, scanditi ora dagli “occhi”, ora dal “grembo”, simboli, entrambi, di comunicazione col mondo. I versi qui di seguito sono in tal senso interessanti e fanno del corpo il vettore di questioni sepolte: “navigano la mia lingua / solo brevi domande esiliate” (poesia II).
Il viaggio, tuttavia, non contempla soste e si dipana in continui slittamenti temporali. È in questa eterna risacca che il ruolo del poeta diventa quello del bardo (aedo o rapsodo), custode di memorie indelebili:
Servirebbe un incantesimo di sonno
alla memoria corrosiva
per dimenticare momentaneamente
chi siamo stati. (poesia III)
“Graffiti di esistenza”, come arterie impresse sulla pagina, ricollegano autore e lettore sotto il medesimo incanto: si assiste, scortati da metafore sottili e delicate, al passaggio ad uno stadio successivo, quello del molteplice. Gli scenari si fanno più ampi, comunitari. Ci si ritrova ammantati dal leggero fluire della danza e si danza come per riprodurre un rito di elevazione. L'intera raccolta potrebbe essere letta come un libretto di canti, di nenie, la cui scansione ritmica non cessa di richiamare le elegie e i lamenti funebri delle antiche donne albanesi: il tuo corpo / il tuo corpo ripete la poetessa in una poesia dal tono quasi mistico. Abbondano altresì figure e gesti rituali afferenti alla dimensione contadina: “nessuna mano ad ungerti la fronte / di miele / né riso / né grano” (poesia II); “mi bagnavi la fronte / prima di darmi da bere” (poesia VI); “e chissà se qualcuno ha mai saputo / sollevarti la fronte / e bagnarti le labbra” (poesia VI).
Il percorso intrapreso ha talvolta il sapore di una catabasi dantesca (il marchio dell'erranza segue il poeta in una lenta discesa agli inferi), talvolta quello di un innalzamento:
in compenso divenni fata
dal latte incantato
vorace di ferite e verità. (poesia XXXII)
L'io familiare, quello politico e quello attuale si uniscono per una catarsi finale. Le morti che attraversano il libro (penso ad esempio alla donna della poesia XXIV, ma anche alle morti simboliche della poetessa: “Che colpa ne ho / che nasco e muoio / dentro il secondo?”) vi conducono appieno.
Le pagine si sommano al computo degli giorni, dei mesi, degli anni e delle vite che la Doka ci invita a riattraversare. Litanie consolanti dell'altrove proiettate qui ed ora. Perché il mondo fa meno paura, sembra dirci una voce nascosta, se siamo pronti a conoscerci.
Pierino Gallo
