logo
homeLetteraturasep
Ogni cosa che cade ha il suo rumore, di Carla De Angelis, edito da Fara e recensito da Stefano Martello

Ogni cosa che cade ha il suo rumore, di Carla De Angelis, edito da Fara e recensito da Stefano Martello

Ogni cosa che cade ha il suo rumore – Carla De Angelis – Fara – Pagg. 72 – ISBN 978 88 9293 182 4 - Euro 12,00


Postfazione di Stefano Martello


L'abitudine poetica di Carla De Angelis


La routine, questa prefazione delle rivoluzioni.

(Émile de Girardin, Il socialismo e l' imposta)


Lo ammetto, senza nemmeno arrivare al cospetto dei supplizi.

Senza nemmeno volerne sentire l'odore, stantio e nauseabondo.

Scrivere un apparato critico per Carla De Angelis – a prescindere dal suo posizionamento, dalla forma e dalla natura e dagli intenti delle parole a cui si riferisce – è impegnativo. Certe volte penso che mi sarebbe più semplice rivolgere lo sguardo alle parole – era il 2006, era una prefazione, era sempre un libro di poesie – che hanno inaugurato la nostra proficua e comune stagione di parole e poi, prosasticamente, confermare in maniera notarile quel giudizio, quella linea, quell'approccio, quel movimento alla fine del testo commentato.

Dove sono, mi chiedo e le chiedo, quegli tsunami che conquistano le coste senza nemmeno lasciarti il tempo di scappare?

Dove i cambi di stile che ogni artista sente di dover sperimentare, almeno una volta nella vita, magari quando il libro (la canzone, il film, l'installazione, il quadro) che li precede sono andati particolarmente bene?

Dove le tensioni che scendono dal cervello, lungo il collo e le spalle, fino alle estremità delle dita, inibendo il perfezionamento del gesto (letterario, giornalistico, poetico), riducendo le dita ad appendici ridicole che passano il tempo a ticchettare sulla scrivania di turno?

Dove il dubbio, il senso del ridicolo o la convenienza?

Avendo scelto di utilizzare le parole non solo per tirarmi terapeuticamente fuori dalle intermittenze della vita ma anche per saldare i conti del condominio, sono abituato a periodi più fetenti e fetidi, di quelli che magari non ti vengono fuori esattamente come vorresti e che pure salvi con nome, di fronte a una consegna serrata e con la convinzione fatalista che la prossima volta andrà meglio.

Le parole di Carla, il modo in cui le incastra in versi, la fluidità che quell'incastro realizza, mi spaventano a morte. Assomigliano, per certi versi, a un atleta che riesce a rimanere concentrato per cinque, dieci, quindici stagioni senza mai cedere nulla. Imponendo uno stile di gioco che tutti gli altri atleti hanno imparato a conoscere e riconoscere, ma non a neutralizzare.

Potrei smettere l'abito fricchettone del supposto critico e recuperare il grimaldello giornalistico delle domande, ma con Carla l'ho già fatto una volta e il risultato è stato talmente gioioso che non mi va di infangarlo con un nuovo tentativo.

Preferisco – è più semplice, è meno pericoloso, e di questi tempi bisogna imparare ad essere più leggeri, anche a costo di essere scambiati per dei superficiali paraculi – sottolineare la diversità del timbro poetico di Carla, che origina dall'io, come è giusto e finanche necessario che sia, con un approdo che contempla un noi inclusivo e accogliente. Disattendendo la struttura tipo di un componimento poetico che troppo spesso assomiglia ad una supercazzola

attorcigliata sulla propria forma per intorbidire l'ambiente e per intortare l'interlocutore.

Preferisco sottolineare la fatica che questo proposito sottende e comporta.

L'irrobustimento di un tempo di pensiero che anticipa e legittima il tempo di scrittura, libero da timing e concessioni.

La selezione di quelle parole che meglio di altre possono essere codificate, ingerite e assimilate da un pubblico troppo indebitato per potersi permettere un po' di clemenza.

La rinuncia a quei dolori troppo personali e intimi per poterli mettere in piazza.

È un gesto da artigiana, quello che Carla continua a compiere negli anni; che non conosce convenienza e non contempla alcuna analisi dei costi rapportati ai benefici.

È forse, e lo dico con un certo pudore, il gesto più libero che ognuno di noi si può permettere di compiere, senza incorrere in illeciti penali o morali.

E il fatto che Carla continui ad essere esemplarmente onesta, dopo tutti questi anni, dopo tutte le fratture rinsaldate, dopo tutti i tramonti e le albe e i chilometri e le revisioni e le strade, lo mrende ancora più prezioso. Più ardito.

Potrebbe fare a meno, magari dedicandosi al suo giardino. Non riesco a capire perché si ostini a indagare sé stessa, la realtà, gli affetti con tale verità.

Non glielo chiedo nemmeno – e prego ciascuno di Voi di seguire il mio silenzio – perché ho paura che poi ci rifletta seriamente.

Ma forse anche questo timore non ha ragione d'essere.

Carla è decisamente più disciplinata di me, che non riesco a smettere di fumare o di ingozzarmi di merendine.

Leggere le sue poesie ci rende migliori.