L’anno del pensiero magico, di Joan Didion, edito da Il Saggiatore e recensito da Katia Ciarrocchi
L'anno del pensiero magico - Joan Didion – Il Saggiatore - Pagg. 79 – ISBN 9788856500066 – Euro 7,00
La
vita cambia in fretta.
La
vita cambia in un istante.
Una
sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.
Il
problema dell'autocommiserazione.
La
vita cambia in un istante.
Un
normale istante.
L'anno
del pensiero magico di
Joan Didion è
un libro che immaginavo intenso, ma non credevo potesse toccarmi con
questa profondità. È il racconto di un anno di vita che si
sgretola, un anno segnato dalla morte improvvisa del marito, John
Gregory Dunne, e dalla malattia gravissima della figlia Quintana.
Didion attraversa questo dolore con una lucidità che colpisce e
ferisce allo stesso tempo, consegnando al lettore un'esperienza di
lettura che non lascia indifferenti.
Il romanzo prende avvio da
una scena semplice e terribile, una conversazione interrotta dal
collasso del marito, una serata come tante che si trasforma in un
confine netto tra un prima e un dopo. Da quel momento, la scrittrice
è trascinata in un vortice di incredulità e smarrimento, un luogo
mentale in cui la realtà diventa difficile da accettare e il dolore
assume forme imprevedibili.
È qui che entra in gioco il
“pensiero
magico”
evocato
dal titolo, Didion lo racconta con una sincerità disarmante, urla
forte tra le righe il bisogno irrazionale di credere che qualcosa
possa cambiare, che la persona amata possa tornare, che i gesti
quotidiani possano ancora avere un senso. Conservare i vestiti del
marito, aspettarsi di sentirlo aprire la porta, continuare a vivere
in una sospensione quasi infantile tra ciò che si sa e ciò che si
spera. Leggendo, mi sono ritrovata a riflettere su quanto, nelle
perdite più grandi, anche noi cerchiamo un appiglio simile, un
riflesso di normalità impossibile da sostenere.
Lo stile di
Didion è inconfondibile, analitico, misurato, a volte persino
chirurgico. Ogni parola sembra essere stata scelta con estrema
precisione, come se il linguaggio fosse l'unico strumento rimasto
per mettere ordine nel caos. Questa lucidità, per quanto ammirevole,
genera però anche una certa distanza emotiva. In più di un
passaggio ho percepito una freddezza sottile, una barriera che
impedisce di sprofondare completamente nella sua interiorità. Credo
che questo effetto nasca dal suo modo di affrontare il lutto, perchè
Didion non si abbandona agli sfoghi, preferisce analizzare,
ricostruire, osservare da fuori ciò che le sta crollando addosso.
Il
racconto della morte del marito è asciutto, privo di enfasi, e
proprio per questo risulta ancora più doloroso. Colpiscono anche i
passaggi legati alla memoria, ai ricordi che tornano in modo quasi
ossessivo, ai “se
solo”
che
accompagnano chiunque abbia conosciuto la perdita. Lo stesso vale per
le riflessioni sul tempo, quando il passato sembra più concreto del
presente perché il dolore lo rende più accessibile. Sono righe che
ho riletto più volte, nel tentativo di coglierne ogni sfumatura.
La
lettura non è immediata, richiede attenzione e una certa
disponibilità emotiva, forse persino il momento giusto della propria
vita. Tuttavia, quando si entra nel ritmo di Didion, si capisce che
questo libro diventa una meditazione sulla fragilità umana, sul
bisogno di andare avanti anche quando tutto sembra crollare, sulla
ricerca di un equilibrio nuovo in un mondo improvvisamente alterato.
O
la mente, la mente ha montagne; rupi a picco
erte,
spaventose, dall'uomo inesplorate. Poco le stima
chi
non vi fu mai appeso.
Mi
sveglio e sento l'ispido vello del buio, non del giorno.
E
ho chiesto d'essere
dove
non arrivano le tempeste.
Katia Ciarrocchi

