Il
grande balipedio
di
Carlo Della Corte
Endemunde
Edizioni
www.endemunde.it
Narrativa
romanzo
Pagg.
160
ISBN
9788897950172
Prezzo
Euro 11,90
Una
visione originale della guerra
Mi
ha incuriosito per il titolo, perché non sapevo che
significato avesse la parola balipedio, ma è bastata una breve
ricerca sul dizionario per sapere che con questo termine si indica un
campo sperimentale per il tiro dei cannoni e comunque per altre
esercitazioni a fuoco; inoltre, in occasione della ricorrenza
(centenario) della nostra partecipazione alla Grande Guerra il
romanzo era indicato da alcuni quotidiani fra quelli in tema
meritevoli di lettura. Ciò premesso, mi corre l’obbligo
di evidenziare da subito che Il
grande balipedio, sebbene
ambientato nel corso della prima guerra mondiale, è un po’
atipico e pur nella vicenda di una missione suicida non cerca di
esprimere tanto una ferma condanna della guerra, che nemmeno viene
esaltata però, ma tende a far apparire il conflitto come uno
scontro di classe, secondo una radicata concezione marxista. La
figura di questo tenente, di un ceto borghese alto, a cui la vita non
ha riservato preoccupazioni e che lui conduce con indifferenza, quasi
con apatia, e l’immagine dei soldati che comanda, proletari
considerati in guerra come carne da cannone e in pace come carne da
sfruttare, segnano un netto contrasto che, pur tuttavia, il fango
delle trincee, il martellante tambureggiare dei cannoni, il vitto
insapore e inadeguato finiscono per annullare, nella lordura di un
mondo che nelle traversie di una guerra rappresenta la peggiore
condizione possibile. Il tema non è facile e la
politicizzazione di un fatto può risultare controproducente
alle esigenze di una interessata e gradevole lettura. Purtroppo
l’autore non è riuscito a dare al romanzo una struttura
snella, appesantendolo con frequenti riflessioni del protagonista
principale, a volte anche superflue, in quanto ripetitive di concetti
esposti in precedenza. E non è un caso se le parti migliori
sono quelle in cui emerge un contrasto, anche fisico, con i
superiori, senza che ci sia necessità di esporre un pensiero
sul fatto che il mondo è schematizzato in classi e che ogni
classe, in particolari momenti, può imperare sull’altra.
Un colonnello che sembra ricordare tanto il generale Leone di Un
anno sull’altipiano, e
un capitano, pazzo di paura, che crede di riscattarsi rubando le
corazze della pattuglia addetta al taglio dei reticolati sono
l’emblema dell’ottusità di chi, in un dato momento
della storia, è investito di poteri non supportati da idonee
capacità. Così se sono frequenti pagine di una
particolare grevità, che mi hanno anche stizzito, sono
tuttavia presenti altre che stimolano a proseguire nella lettura.
Nel
complesso, direi che il libro è meritevole, ma senza alcuna
enfasi, senza l’emozione di chi è convinto di aver avuto
un consistente contributo al suo livello culturale; ci sono, come
sopra precisato, meriti e demeriti, però c’è
anche una rappresentazione della guerra un po’ diversa dalle
solite ed è questa originalità il pregio maggiore.
Carlo
della Corte
(1930-2000)
è stato un romanziere, poeta e giornalista veneziano.
Appassionato di fumetti (su cui ha scritto un memorabile saggio) e di
fantascienza (con Pulsatilla
sexuata,1962,
ne ha inaugurato il filone italiano), conquista la notorietà
con Di
alcune comparse a Venezia (1969),
che vince a Zurigo il premio internazionale Veillon. Nel 1977 è
finalista al Campiello con Cuor
di Padrone.
Tra i suoi ultimi romanzi, Il
diavolo, suppongo (1990), Vuoto
a rendere (1994), Fuoco
lento (1966)
e Cubanito (2000).
Renzo
Montagnoli
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