Quelli
che dissero no.
8
settembre 1943: la scelta degli italiani nei campi di prigionia
inglesi e americani
di
Arrigo Petacco
Arnoldo
Mondadori Editore S.p.A.
Storia
Pagg.
172
ISBN
9788804622529
Prezzo
Euro 10,00
Collaborare,
o non collaborare?
Arrigo
Petacco affronta un tema che non è molto noto ed è
senz’altro meno conosciuto di quello che, relativamente ai
nostri soldati imprigionati dopo l’8 settembre 1943 nei lager
tedeschi, vide offerta loro la possibilità di abbandonare le
dure condizioni di vita per arruolarsi nel neonato esercito della
Repubblica Sociale Italiana, offerta che fu accolta da un numero
assai limitato di prigionieri. Lo storico spezzino qui invece si
interessa della condizione dei nostri militari catturati dalle truppe
angloamericane con riferimento a una particolare data, l’8
settembre 1943, cioè quella dell’armistizio, data in cui
erano presenti nei campi di concentramento alleati sparsi un po’
ovunque fra Africa, Asia, Australia, Europa e America, circa 600.000
soldati italiani. Preciso che la distinzione fra il prima e il dopo
ha più un carattere giuridico che un effettivo aspetto
pratico, perché ben poco cambiò con la cessazione delle
nostre ostilità nei confronti degli anglo-americani, mentre
qualcosa di più significativo avvenne con la nostra successiva
dichiarazione di guerra alla Germania. Di questo argomento già
sapevo parecchio in quanto mio padre fu catturato nel gennaio del
1941 in Libia durante la vittoriosa avanzata inglese e la nostra
ignominiosa rotta; portato ad Alessandria d’Egitto dopo una
lunga marcia nel deserto, fu imbarcato con destinazione Durban in Sud
Africa dove rimase fino alla primavera del 1946, allorché
rientrò in Italia. Già quasi da subito fu offerto agli
italiani di collaborare, che non voleva dire combattere accanto agli
inglesi, ma di essere utilizzati per tutti quei lavori di carattere
non militare previsti dalla Convenzione di Ginevra. Chi accettava
doveva firmare una dichiarazione e diventava un collaboratore, con
modesti vantaggi, tuttavia non trascurabili per un prigioniero, quali
una minor restrizione. Chi non era di questo parere veniva messo in
un lager riservato ai fascisti, in cui il trattamento non era
disumano, salvo qualche tentativo un po’ troppo violento per
far cambiare idea. Dopo l’8 settembre 1943 e ancor più
successivamente alla dichiarazione di guerra dell’Italia alla
Germania, la figura del collaboratore assumeva una luce particolare,
tanto che la qualifica diventava di cobelligerante, non comunque di
combattente alleato, ma in ogni caso con un trattamento migliore e
con una certa, per quanto non completa, libertà. Gli altri
continuavano a restare nei lager dei non collaborazionisti, per
quanto il loro numero continuasse a diminuire per le defezioni.
Questi ultimi erano tutti ferventi fascisti? In buona parte sì,
ma c’era anche chi aveva un senso rigido dell’onore e che
riteneva sconveniente l’idea di dare una mano all’ex
nemico. Petacco parla soprattutto di chi scelse di non collaborare,
cercando di comprenderne le ragioni, tema senz’altro
interessante, ma, se devo essere sincero, affrontato dallo storico
spezzino in modo un po’ superficiale, senza mai affondare il
bisturi per portare alla luce motivazioni anche recondite, ma
basandosi prevalentemente sull’etichetta di fervente fascista.
Il saggio diventa così un po’ noioso, anche se a tratti
presenta delle impennate di interesse con delle notizie poco
conosciute ai più, se non agli addetti ai lavori, come per
esempio il lavorio intrapreso dagli inglesi, quando ancora non
l’avevano preso prigioniero, per far diventare Amedeo Duca
d’Aosta la guida dell’Italia libera, così come era
De Gaulle per i francesi, tentativo non riuscito e poi
definitivamente abbandonato con la sopravvenuta morte in prigionia
dell’eroe dell’Amba Alagi. Inoltre, già si sapeva,
ma qui viene riconfermato il pessimo trattamento dei nostri militari
nei lager francesi, forse ancora infuriati per la famosa pugnalata
alla schiena inferta ai transalpini da Mussolini. A parte qualche
altra notizia e la descrizione delle nostre operazioni militari in
Africa il saggio di Petacco non riserva altre sorprese, o motivi
d’interesse, e si trascina, un po’ stancamente, fino alla
fine. Non che non meriti di essere letto, ma mi sembra che l’autore,
in altre occasioni meticoloso, qui sia stato un po’
superficiale, mancando di effettuare quegli approfondimenti
indispensabili per la natura del tema trattato.
Arrigo
Petacco (Castelnuovo
Magra, 7 agosto 1929 – Portovenere, 3 aprile 2018).
Giornalista, inviato speciale, è stato direttore della
«Nazione» e di «Storia illustrata », ha
sceneggiato film e realizzato programmi televisivi di successo. Nei
suoi libri affronta i grandi misteri della storia, ribaltando spesso
verità giudicate incontestabili. Fra gli altri ricordiamo,
pubblicati da Mondadori:Dear
Benito, caro Winston, I ragazzi del '44, La regina del Sud, Il
Prefetto di ferro, La principessa del Nord, La Signora della Vandea,
La nostra guerra. 1940-1945, Il comunista in camicia nera, L'archivio
segreto di Mussolini, Regina. La vita e i segreti di Maria José,
Il Superfascista, L'armata scomparsa, L'esodo, L'anarchico che venne
dall'America, L'amante dell'imperatore, Joe Petrosino, L'armata nel
deserto, Ammazzate quel fascista!, Il Cristo dell'Amiata, Faccetta
nera, L'uomo della Provvidenza, La Croce e la Mezzaluna, ¡Viva
la muerte!, L'ultima crociata, La strana guerra, Il Regno del Nord, O
Roma o morte, Quelli che dissero no, Eva e Claretta, A Mosca, solo
andata, Nazisti
in fuga, La
storia ci ha mentito e Ho
sparato a Garibaldi.
Renzo
Montagnoli
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