Il
testamento Donadieu
di
Georges Simenon
Traduzione
di Paola Zallio Messori
Edizioni
Adelphi
Narrativa
romanzo
Collana
Biblioteca Adelphi
Pagg.
393
ISBN
9788845902598
Prezzo
Euro 20,00
Il
feuilleton di Simenon
Nel
1936 Simenon era già un autore affermato, grazie ai gialli con
Maigret e agli indovinati noir e non piaceva solo al lettore medio,
ma anche a letterati assai famosi come André Gide. Confortato
da questi elementi positivi e indubbiamente consapevole delle sue
capacità deve aver pensato che fra tanti successi ne mancava
uno relativo a un romanzo di maggior spessore, quale poteva essere
costituito dalle vicende di una potente famiglia avviata a un
inarrestabile declino. E a passare dall’idea alla realizzazione
non ci mise molto, solo i mesi di luglio e agosto del 1936; nacque
così Il testamento Donadieu, un romanzo corposo,
considerate le sue 393 pagine.
Strano
clan, quello dei Donadieu, che vivono fra La Rochelle e Parigi, che
conducono una vita ritirata, ma che tutti assieme, come in
processione, vanno a messa alla domenica per un rito anziché
per una fede; è un’esistenza senza un acuto, monotona,
anzi grigia, prigionieri della loro stessa potenza. Un giorno però
accade un fatto straordinario: il capostipite, l’armatore Oscar
Donadieu scompare, senza lasciare traccia, nemmeno un rigo. E’
l’inizio della fine, perché nonostante la proverbiale
meticolosa efficienza e la non scalfibile sicurezza quello che si
potrebbe definire l’ordine Donadieu mostra dapprima una
crepetta che però in breve si allarga e si dirama fra La
Rochelle e Parigi fino ad arrivare al crollo di questa grande
famiglia, trascinando nel baratro anche l’arrivista Philippe,
inseritosi di soppiatto fra gli apparentemente rigidi legami del
clan. Costui, figlio del proprietario di un cinema ridottosi quasi in
miseria per operazioni finanziarie sbagliate, circuisce Martine, la
figlia dello scomparso Oscar Donadieu, il cui cadavere verrà
poi ritrovato nel limo del porto senza che possiamo sapere se si sia
trattato di incidente, di suicidio o di omicidio; il suo intento non
è nobile, né quello di un vero innamorato, in quanto ha
un unico scopo, vale a dire impadronirsi delle fortune dei Donadieu,
che ritiene colpevoli delle disgrazie finanziarie del padre. Non vado
oltre per quanto concerne la trama di questo lungo romanzo,
limitandomi a far presente che la passione dell’autore per il
giallo e per il noir qui sembra assente, se pur tuttavia i morti
ammazzati non mancano e tutti legati, direttamente o indirettamente,
a questa famiglia. Il finale, poi, non potrebbe essere più
pirotecnico e a onor del vero mi sembra che in tale circostanza
Simenon abbia usato più di una forzatura, travalicando il
limite dell’equilibrio per piombare in una specie di tragedia
greca. Il romanzo non è certamente un capolavoro, ma ha il
sapore di certi drammoni propri dei feuilleton e in effetti è
giusto ricordare che Il testamento Donadieu uscì
agli inizi a puntate su Les feullets bleus, senza dimenticare che era
stato commissionato dal quotidiano Le Petit parisien. A mio parere è
uno di quei libri, denso di intrecci, di tresche e di atmosfere
grevi, adatti a un lettore che, amante delle tinte forti, desidera un
prodotto che gli consenta di trascorrere diverse ore immerso nella
realtà fittizia di un mondo in cui amore e morte non solo
convivono, ma vanno felicemente a nozze. Per concludere si tratta di
un’opera di non grande pregio, la tappa di un percorso che però
avrebbe portato George Simenon a scrivere romanzi di notevole valore,
quali, e solo a titolo di esempio, La
finestra dei Rouet, I fantasmi del cappellaio e
L’angioletto.
Georges
Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989,
ha lasciato centonovantatre romanzi pubblicati sotto
il suo nome e un numero imprecisato di romanzi e racconti pubblicati
sotto pseudonimi, oltre a volumi di «dettature» e
memorie. Il commissario Maigret è protagonista di 75 romanzi
e 28 racconti, tutti pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in
tutto il mondo, innanzitutto per le storie di Maigret, Simenon è
anche, paradossalmente, un caso di «scrittore per scrittori».
Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da Faulkner a Cocteau, molti e
disparati sono infatti gli autori che hanno riconosciuto in
lui un maestro. Tra questi, André Gide: «Considero
Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il più
autentico che la letteratura francese abbia oggi»;
Walter Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di
Simenon»; Louis-Ferdinand Céline: «Ci
sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei Pitard,
per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
Renzo
Montagnoli
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