L’anno
che uccisero Rosetta
di
Alessandro Perissinotto
Sellerio
editore Palermo
Narrativa
romanzo giallo
Pagg.
192
ISBN
9788838913655
Prezzo
Euro 11,00
Un
esordio non proprio positivo
Corrono
gli anni ‘60 e un commissario deve svolgere, con particolare
riservatezze, delle indagini relative all’omicidio della
ventiduenne Rosetta, avvenuto molti anni prima, quasi al termine
della seconda guerra mondiale. Il luogo ove è avvenuto il
delitto è un paese montano del Piemonte, ai confini con la
Francia, una realtà chiusa, dove il tempo scorre assai più
lentamente che altrove e infatti anche la narrazione ha un ritmo che
a definire blando sarebbe ricorrere a un eufemismo, perché,
anche per l’impostazione strutturale (un capitolo con le
riflessioni del commissario, un altro con il suo accompagnatore
nell’inchiesta, vale a dire il sindaco), le parole si
trascinano con la stessa velocità di una lumaca. Questo ritmo
ci può anche stare nel romanzo, quello che invece mi sembra
fuori luogo è far palesare un’ombra di mistero,
un’atmosfera gotica che si rivelerà una bolla di sapone.
La trama di un poliziesco non dovrebbe essere quella di un horror,
basterebbe la suspense, sempre che l’autore sia in grado di
crearla e in questo caso non mi sembra vi sia riuscito. Ci sono tutta
una serie di invenzioni che stonano con una realtà che, pur
essendo frutto di fantasia, deve essere tuttavia plausibile; mi
riferisco all’indizio, alla traccia che trova il commissario in
alcuni quadretti ex voto, riportanti in un angolo l’immagine
del volto di Rosetta e in basso una strana macchia, mentre invece
finisce con il rivelarsi una pittura con prospettiva anamorfica che,
in un certo ordine, porta un messaggio. Se considerate che l’autore
del dipinto, padre di Rosetta, è un’analfabeta e ha
appreso alcuni rudimenti di pittura, la cosa appare poco plausibile.
E poi ci sono dei segnali, tipici di un mondo sotterraneo, quali un
percorso segreto in un castello, una messa officiata ogni anno da
secoli in un ampio locale sotto il castello stesso, insomma l’autore
sembra pescare, disorientando, in altri generi, con indizi che si
riveleranno poi fittizi. Si tratta dell’opera prima di questo
narratore torinese, un lavoro che mi ha lasciato più che
perplesso, anche se per esprimere un giudizio compiuto sull’autore
è mia intenzione leggere almeno un paio di altri suoi romanzi.
Questo, intanto, pur presentando qualche elemento d’interesse,
mi è sembrato abbastanza modesto.
Alessandro
Perissinotto
nasce a Torino nel 1964. Pratica vari mestieri e, intanto, si laurea
in Lettere nel 1992 con un tesi in semiotica. Inizia quindi
un’intensa attività di ricerca, occupandosi di
semiologia della fiaba, di multimedialità e di didattica della
letteratura. È docente nell'Università di
Torino.
Collabora
inoltre con il quotidiano "La Stampa", per il quale scrive
articoli e racconti che appaiono sul supplemento "TorinoSette",
e con "Il Mattino" di Napoli. Approda alla narrativa nel
1997 con il romanzo poliziesco L’anno
che uccisero Rosetta (Sellerio),
al quale fanno seguito La
canzone di Colombano
e Treno
8017 (Sellerio,
2000 e 2003). Nel 2004 pubblica per Rizzoli il noir epistolare Al
mio giudice (Premio
Grinzane Cavour 2005 per la Narrativa Italiana), seguito nel 2006
da Una
piccola storia ignobile (Rizzoli),
un’indagine della psicologa Anna Pavesi, che torna anche
in L’ultima
notte bianca e L’orchestra
del Titanic.
Nel 2008 la riflessione sul poliziesco si sviluppa anche in forma
saggistica con La
società dell’indagine (Bompiani),
mentre la sua produzione narrativa evolve verso il romanzo politico
con Per
vendetta (2009).
Le sue opere sono state tradotte in numerosi paesi europei e in
Giappone. Con Piemme ha pubblicato Semina
il vento (2012), Le
colpe dei padri (2013,
secondo classificato al Premio Strega), Coordinate
d'Oriente (2014)
e Quello
che l'acqua nasconde (2017).
Con Mondadori ha pubblicato Il
silenzio della collina (2019).
Renzo
Montagnoli
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