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  Recensioni  »  Cronache di poveri amanti, di Vasco Pratolini, edito da B.U.R. 14/07/2019
 
Cronache di poveri amanti

di Vasco Pratolini

Edizioni BUR Biblioteca Universale Rizzoli

Narrativa romanzo

Pagg.  XXVIII-431

ISBN 9788817061087

Prezzo Euro 12,00


Una stupenda epica popolare


Via del Corno, a Firenze, è una strada lunga al più una cinquantina di metri, senza marciapiedi, isolata dal traffico, popolata quasi esclusivamente da un proletariato che spesso non ha nemmeno gli occhi per piangere, ma che è percorso da un desiderio di amore che si trasforma, spesso e volentieri, in infedeltà. In questo rione chiuso nulla sfugge e si può dire che ognuno dei suoi abitanti sappia tutto dell’altro, anche perché qualcuno spesso mette in piazza i fatti suoi, per trovare più che consenso, conforto. Il romanzo è ambientato negli anni in cui il fascismo, salito al potere, getta la sua maschera di aspirante alla democrazia assumendo le vesti tipiche della dittatura, con l’introduzione delle Leggi speciali. In via del Corno si nasce, si cerca di vivere e si muore, ci sono due antifascisti e due fascisti, e questi ultimi faranno valere drammaticamente la legge del più forte. Le pagine in cui il compagno Maciste, insieme a Ugo, corre per Firenze con il suo sidecar per mettere in guardia gli oppositori del fascismo sono di una maestria indiscutibile, perché sono rappresentazione filmica; in un crescendo di tensione la morte di Maciste, colpito da un proiettile sparato da un fascista, commuove e al contempo indigna, perché il personaggio è il classico gigante buono e proprio per questo lotta per un mondo più giusto e migliore.

A via del Corno i suoi abitanti hanno tutti una personalità ben precisa e Pratolini li descrive in modo mirabile, sono figure che parola dopo parola vengono a comporsi davanti agli occhi del lettore e sono tutti protagonisti, nel bene e nel male. Non ci sono individui complessi, fatta eccezione per la Signora, l’ex tenutaria di bordelli, invecchiata e ormai fuori dal giro, in possesso di un buon gruzzoletto, disperatamente sola, ma attratta irresistibilmente dalle ragazze giovani; è una fredda calcolatrice a cui piace dominare, tutta intenta, nonostante l’infermità che la costringe quasi sempre a letto, ad architettare piani diabolici con cui rovinare il malcapitato di turno, in un trionfo del male che sembra essere ormai l’unico scopo della sua vita. In via del Corno nascono nuovi amori, altri finiscono, c’è gente sposata che ha l’amante, e questo sembrerebbe l’origine del nome della via, ma le corna non hanno nulla a che fare con il corno. Eppure, tranne i due fascisti e la Signora, i personaggi, a loro modo, finiscono con il diventare simpatici e si riesce perfino a cogliere quel loro senso della vita, che è proprio dei poveri, perché chi manca di tutto o quasi trova conforto solo nell’amore, che può essere delirio dei sensi, ma anche comunione di sentimenti, affetti profondi. Sono figure che restano scolpite nella memoria, senza che tuttavia una fra tutte incida di più, perché in fondo la coralità del romanzo fa sì che volti e figure appaiano e scompaiano, si sovrappongano, si uniscano, e alla fine non è difficile accorgersi che l’autentica protagonista è proprio lei, via del Corno, come l’aveva conosciuta Vasco Pratolini, che non troviamo su quel selciato, che pure a suo tempo ha calcato, ma è il burattinaio che muove i fili dei ricordi, che rinnova l’affetto per chi lì ha condiviso con lui parte della sua vita. L’autore soleva dire che via del Corno, in cui aveva abitato da ragazzo, era la sua Aci Trezza, il suo quadro di un’epica popolare, di un mondo ormai lontano, ma rimasto nel cuore, un mondo in cui, nonostante l’orrore di un regime sanguinario e crudele, circolava ancora un filo di speranza, quella speranza che come una brace sotto la cenere sarebbe tornata ad ardere più avanti nel tempo.

Per me è un capolavoro.



Vasco Pratolini (Firenze, 19 ottobre 1913 – Roma, 12 gennaio 1991). Di famiglia operaia, è costretto a interrompere gli studi e svolge mestieri diversi per potersi mantenere.
Autodidatta, entra in contatto con l’ambiente degli artisti e degli scrittori che gravitano attorno al pittore Ottone Rosai, frequentandone la casa.

Pratolini comincia a collaborare al periodico «Il Bargello» e diviene redattore con Alfonso Gatto, nel 1938, della rivista «Campo di Marte». Nel 1951 si trasferisce a Roma, città nella quale vivrà da allora in poi.
Le sue prime esperienze narrative ("Il tappeto verde", 1941; "Via de’ magazzini", 1941; "Le amiche", 1943; "Cronaca familiare", 1947) compongono il ritratto di un'infanzia e di una giovinezza piuttosto picaresche.

Il registro adottato, sin da quelle prime prove, si pone a mezza via fra il realistico e il lirico.
"Il quartiere" (1943) è un affresco corale che narra della presa di coscienza del sottoproletariato urbano. 
Gli stessi temi sono riproposti, con tono appena più svagatamente satirico, ne "Le ragazze di San Frediano" (1949), e trasposti poi in una più approfondita lettura psicologica in "Cronache di poveri amanti" (1947).

Pratolini svolge con successo, in questi anni, anche un'attività di sceneggiatore e soggettista cinematografico, e intraprenderà in seguito una carriera di autore di testi teatrali ("La domenica della povera gente", 1952; "Lungo viaggio di Natale", 1954).

Nel 1955 pubblica Metello (premio Viareggio), primo romanzo di quella che diverrà la trilogia "Una storia italiana", essendo completata da "Lo scialo" (1960) e da "Allegoria e derisione" (1966).
Nella trilogia, la vita dei fiorentini, descritta attraverso la caratterizzazione di personaggi emblematici del proletariato e della borghesia, diviene il microcosmo in cui analizzare lo svolgimento di dinamiche sentimentali e politico-sociali.

Alla città e al mondo dell’adolescenza sono dedicati ancora un romanzo, "La costanza della ragione" (1963), e le poesie raccolte in "La mia città ha trent’anni" (1967). Alcune «cronache in versi e in prosa», scritte dal 1930 al 1980, sono riunite nel volume "Il mannello di Natascia" (1984, premio Viareggio).



Renzo Montagnoli







 
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