Il
rogo della Repubblica
di
Andrea Molesini
Sellerio
Editore Palermo
Narrativa
romanzo storico
Pagg.
344
ISBN
9788838941979
Prezzo
Euro 15,00
Potere
e giustizia
Accusati
di aver rapito e ucciso un bimbo per impastare con il suo sangue le
focacce pasquali, l’archisinagogo Servadio e altri due ebrei
cedono alla tortura ammettendo di aver compiuto ciò che in
effetti non hanno fatto. E proprio per questo, per l’ammissione
di una colpa inesistente solo per evitare i tormenti, i tre fanno
ricorso e il processo, conclusoso in primo grado nel luogo dove
avrebbero commesso il reato, prosegue davanti al Senato di Venezia.
In questa vicenda si inserisce Boris da Candia, un avventuriero anche
umanista di cui si serve la Serenissima per eliminare uomini a lei
ostili, oppure per spiare. E qui mi fermo, perché non intendo
assolutamente svelare come procederà questo bellissimo romanzo
e tanto meno la fine dello stesso.
Andrea
Molesini precisa, prima dell’elenco delle numerose fonti, che
il fatto di cui si narra è realmente accaduto; tuttavia molti
personaggi, soprattutto Boris da Candia, sono esclusivo frutto di
immaginazione. Se la vicenda di per sé è di notevole
interesse, il pregio dell’opera va cercato ben oltre; certo non
mancherà di appassionare la trasformazione di Boris da uomo di
inganno e omicidio a essere consapevole dei suoi errori,
impregnandosi di quella umanità che non gli è mai stata
propria, in un lungo e anche faticoso cammino di vera redenzione. Ciò
che però Il
rogo della Repubblica è
in grado di offrire come rilevante valore è l’onnipresente
conflitto fra
potere e giustizia e questo non solo allora, ma anche oggi, anzi in
qualsiasi epoca. Le conversazioni di Boris da Candia con il carcerato
archisinagogo Servadio, quella illuminante con Giacobbe Barbato che
ritraendo la sua confessione fa cadere le assurde accuse contro gli
altri incriminati e che per questo, affinché la sua decisione
non possa essere formalizzata deve essere eliminato, sono un continuo
riaffermare la violenza sulla giustizia di chi ha il potere, al punto
che il sicario Boris, che pure non ha provveduto a uccidere come
avrebbe dovuto, assistendo invece al suicidio volontario della sua
vittima, afferma in un bordello “Questa
notte un uomo mi ha ucciso con la sua bontà”.
Se il potere non è mai giusto perché fa prevalere, a
costo anche di condannare degli innocenti, la ragion di stato sulla
verità, è altrettanto vero che la giustizia non può
trionfare senza un suo effettivo potere. Eppure, l’ingiustizia
tende a prevalere, perché chi l’amministra sono uomini,
con tutti i loro difetti, il che fa dire a Boris “Sugli
scranni dei giudici non siede nessuna autorità, ma solo un
potere.”.
E’
un’amara, ma veritiera constatazione, di cui abbiano continue
prove, tanto che la giustizia, quella asettica, rappresenta una
chimera, un desiderio che quando sembra concretizzarsi sfugge di
mano.
Scritto
con grande cura, caratterizzato da un’ambientazione ricreata in
modo impeccabile, con il tema dell’ostilità nei
confronti dei diversi che sfocia nel grande tema della
incompatibilità fra potere e giustizia, Il
rogo della Repubblica è
un gran bel romanzo storico e conferma le eccellenti capacità
dell’ autore già riscontrate sempre nella produzione
precedente.
Quindi
si tratta di un’opera assolutamente meritevole di essere letta.
Andrea
Molesini,
scrittore, è nato e vive a Venezia. Ha curato e tradotto opere
di poeti americani: Ezra Pound, Charles Simic, Derek Walcott. Ha
scritto anche storie per ragazzi tradotte in varie lingue.
"Sono
nato e cresciuto in un luogo d’acqua. L’acqua verde buia
dei canali, che sa di cicoria bollita, di detersivo e di fogna.
L’acqua della laguna aperta, che in estate prende il colore
dell’erica delle barene e sa di pesce e di uccelli lenti come
le darsene coi pescherecci. Le acque del Sile e del Brenta che per un
poco si mantengono dolci prima di cedere alla salinità che il
mare impone alla laguna. Acque differenti, le une ostili alle altre,
che si mescolano e contendono lo spazio secondo tempi e modi che
sfidano le leggi della fisica per sconfinare nel sortilegio.
E
sopra l’acqua la pietra. La pietra di una città fitta di
case e di osterie, di comignoli e di gatti, di uccelli e di vento e
di nebbia e di scorci di bellezza toccante e di raffiche maleolenti.
C’è anche la pietra delle isole, ridotte dall’abbandono
a tane di falchi e gabbiani, di serpi, di contrabbandieri e di ratti
più lunghi di un avambraccio.
Poi
ci sono gli ubriachi. La mia infanzia è piena di ubriachi che
vagano e tentano gli orli delle fondamenta e non cadono mai in acqua.
Venezia sembra un film di Chaplin dove qualcuno con gli occhi bendati
pattina sull’orlo del precipizio ma per quella comica fortuna
che protegge gli innocenti il vuoto li rifiuta e finché non lo
vedono non vi precipitano. Nessuno, a Venezia, si è mai
annegato. Ecco la mia prima bugia. In verità è
successo, è successo a un barbone che si chiamava Dante
(sic!), che la sera si spogliava ubriaco e che dopo decenni di
quest’abitudine, che popolazione e polizia ignoravano tra le
risate, finì coi polmoni pieni d’acqua fetida in un
canale. Ma Dante non fa storia, è sparito dalla memoria
collettiva, anzi, credo sia più giusto dire che non ci è
mai entrato. Perché Venezia è un luogo senza memoria.
Sono
nato e cresciuto in un luogo scolpito nella lentezza, fatto di spazi
ridottissimi, calli strette, case che si toccano, turisti che
intasano i sottoporteghi, barche che nei canali a stento sfilano le
une accanto alle altre senza toccarsi. Scolpito nella lentezza,
dicevo, perché fuori, sulle paludi ferme e immense che
circondano la pietra abitata c’è un altrove senza echi
percorso da uomini lenti che vogano alla valesana. C’era,
dovrei dire, perché oggi vedo più barchini rombanti che
altro. E questa è una catastrofe, perché Venezia è
una città di suoni, non di rumori. Si sentono i gatti
miagolare e si sentono i tacchi a spillo sui masegni. Il rumore dei
motori è relegato ai canali, una maglia di vie ancora
abbastanza silenziose e percorse dalla lentezza (le barche, anche
quelle a motore, grazie a dio non hanno i freni)."
Renzo
Montagnoli
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