Il
Moro della cima
di
Paolo Malaguti
Edizioni
Einaudi
Narrativa
Pagg.
280
ISBN
9788806251611
Prezzo
Euro 19,50
Un
romanzo rasserenante
Ho
letto ormai diversi libri scritti da Paolo Malaguti, un autore che
alcune volte mi ha convinto, come nel caso di Prima
dell’alba e di Sul
Grappa dopo la vittoria,
a mio avviso due autentici capolavori, e altre invece mi ha lasciato
perplesso e mi riferisco in particolare a La
reliquia di Costantinopoli
e a I mercanti di stampe
proibite; i primi due si
svolgono durante la Grande Guerra e nei giorni immediatamente
successivi, gli altri in epoche ben antecedenti. Forte di questa
constatazione ho deciso di leggere anche Il Moro della
cima, visto che la trama si
sviluppa soprattutto durante il primo conflitto mondiale; brevemente
è una biografia molto romanzata di un personaggio esistito
veramente, tale Agostino Faccin, che tutti chiamano “il Moro”
e la cui grande aspirazione è di salire di quota, di
percorrere quelle montagne che svettano vicino a casa e in
particolare una, la Grapa, l’odierno Grappa, per la quale ha
una particolare e intensa venerazione. Vorrebbe che rimanesse sempre
così, come era da tempo immemorabile, ma nell’economia
della Grande Guerra la Grapa può diventare un forte baluardo
atto a frenare e a impedire l’avanzata nemica ed ecco allora
che vengono realizzate strade, scavate gallerie e trincee, insomma
uno sconvolgimento di quel mondo che il Moro ritiene perfetto e in
cui si sente realizzato. Sarà costretto dai militari ad
andarsene, a scendere al piano, ma quando quella carneficina finisce
ritornerà sulla cima e di fronte allo sconquasso provocato
dalla guerra cercherà, in base alle sue possibilità, di
rendere onore alla sacralità della montagna. Grosso modo la
trama è quella a cui ho appena accennato e di per sé è
interessante perché sono continui gli squarci storici e pure
l’atmosfera di dolore e di morte è ben resa. Ho
l’impressione, tuttavia, che la figura del Moro sia un po’
troppo caricata, cioè che l’autore abbia calcato un po’
la mano, anche se di personaggi così se ne possono trovare,
uomini fieri, indipendenti, tesi continuamente a rivendicare e a
difendere la loro personalità; la mia è una sensazione,
che può anche essere sbagliata, e del resto il romanzo si fa
ben valere per altri aspetti, per niente secondari, come anche il
profondo rispetto per natura e soprattutto per la sua montagna,
quella Grapa che Agostino sognava fin da bambino. E’ questa
sorta d’amore che dona lustro all’opera, sono le
descrizioni di un mondo eternamente incantato e che solo l’avidità
dell’uomo può corrompere, sono le pagine in cui la prosa
è soffusa da un alone di poesia, come nel caso della morte del
cane che gli ha fatto a lungo compagnia quando il Moro gestiva il
rifugio sulla cima, senza dimenticare che la tragedia della guerra
con i suoi mutilati e i suoi morti viene anteposta ai risultati delle
battaglie, un chiaro intento pacifista che non può essere che
lodevole, perché rifugge dalla facile retorica. Aggiungo anche
che la scrittura, priva di ampollosità, non poco contribuisce
al piacere della lettura che mi ha deliziato in questi giorni di
intenso caldo estivo, dandomi un ristoro dell’anima, perché
pagina dopo pagina si avverte nel proprio intimo il sorgere di una
gradevole dolcezza che allontana i brutti pensieri e che poco a poco
conduce a quello stato di beatitudine che è proprio della
serenità. Credo proprio che Il Moro della cima
rientri fra i romanzi di Malaguti che mi hanno convinto e pertanto
invito a leggerlo, perché lo merita.
Paolo
Malaguti
è nato a Monselice (Padova) nel 1978. Attualmente vive ad
Asolo e lavora come docente di Lettere a Bassano del Grappa. Con Neri
Pozza ha pubblicato La
reliquia di Costantinopoli (2015),
finalista al Premio Strega 2016. Tra le sue opere Nuovo
sillabario veneto (BEAT,
2016), Prima
dell'alba (Neri
Pozza, 2017) e L'
ultimo carnevale (Solferino,
2019).
Renzo
Montagnoli
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