Papyrus.
L’infinito
in un giunco
di
Irene Vallejo
Bompiani
Editore
Saggistica
Pagg.
576
ISBN
9788830105102
Prezzo
Euro 24,00
La
saga del libro
Si
entra in una libreria e lì ci sono tanti volumi dalle
copertine invitanti e lo stesso accade quando si visita una
biblioteca. Siamo talmente abituati alla presenza dei libri, fin dal
primo anno scolastico, che non ci passa nemmeno per la testa di
chiederci come sia nato il libro, inteso come oggetto con pagine
scritte. A questa domanda che non ci siamo mai posta, ma che dovremmo
porci, provvede un altro libro, questo Papyrus
stilato da Irene Vallejo.
Non
è una storia breve, si perde invece nella notte dei tempi e
risiede nella necessità dell’uomo di comunicare,
lasciando traccia di ciò che ha detto.
Papyrus
è il risultato di un percorso irto e travagliato, fatto di
illusioni e delusioni, di un sogno che si è concretizzato
nelle sue varie forme, partendo dalle narrazioni a voce di Omero per
approdare alle tavolette di argilla, alle incisioni su pietra e poi,
rivoluzionando il sistema, all’utilizzo di una pianta che
cresceva lungo le sponde del Nilo, il papiro. Quando poi la scrittura
è approdata al cuoio, alle pelli di vitello e di pecora ha
comportato, quanto maggiore era la dimensione dell’opera, delle
vere e proprie stragi di animali.
Con
la possibilità di scrivere più agevolmente e ovviamente
di leggere altrettanto facilmente sono sorte le prime biblioteche,
disponibili a un certo pubblico, ma è nata anche la prima
censura, sono sorti i primi nemici degli scritti, che hanno fomentato
la distruzione degli “alberghi” dei libri, come accaduto
con la biblioteca di Alessandria.
Insomma
la storia del libro è anche la storia dell’uomo, dato il
rapporto inscindibile fra i due, una storia che è ben lungi
dal finire (per fortuna, direi).
Non
mancano aneddoti, esperienze personali di questa filologa spagnola
che parte da Oxford per approdare a Firenze, un lungo viaggio che è
anche un’avventura che invita alla riflessione emozionando, fra
nuove invenzioni, come quelle della stampa, e aberrazioni umane, come
i falò di libri del nazismo.
Considerato
i vari supporti nel tempo utilizzati per scrivere parole ci si chiede
il perché del titolo dell’opera, come se l’unico e
ancora valido fosse il famoso papiro. La fibra di questo giunco ha
rappresentato per lunghissimo tempo l’unico supporto
effettivamente utilizzato in grande misura, presentando il vantaggio
di essere facilmente trasportabile, a differenza di altri, in pietra
o in metallo, assai meno pratici. L’unico concorrente all’epoca
era la pelle di vitello, trattata a Pergamo con un particolare
procedimento che consentiva di ottenere fogli assai sottili, con
possibilità di inciderli con la scrittura da entrami i lati, e
dal nome della città il supporto prese il nome di pergamena.
Resta però incontestabile la maggior praticità del
papiro, oltre che a presentare un minor costo di realizzazione.
Che
fine farà il libro così come lo vediamo oggi, in fogli
di carta rilegati? Nonostante la presenza di supporti elettronici
l’autore è convinto che il volume non morirà mai
e in ciò concordo, perché leggere, sfogliando le pagine
e assaporando quel profumo caratteristico dato dell’unione
degli aromi dell’inchiostro e della carta, è
un’esperienza olfattiva di per sé appagante.
Da
leggere, non solo per curiosità, ma per un sicuro
accrescimento culturale.
Irene
Vallejo (Saragozza,
1979) è una filologa e scrittrice spagnola. Nel 2007 ha
conseguito il dottorato europeo in due università, quella di
Saragozza e quella degli Studi di Firenze, con una tesi sul canone
letterario grecolatino. Svolge un’intensa attività di
divulgazione sul mondo classico tenendo corsi e conferenze e ha una
rubrica settimanale su El
País.
Renzo
Montagnoli
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