Nella
grande pianura
di
Umberto Bellintani
Arnoldo
Mondadori Editore S.p.A.
Poesia
Pagg.
296
ISBN
9788804749035
Prezzo
Euro 20,00
Canti
della pianura
Sarà
forse un caso, ma in questa piatta pianura, vicino a un corso d´acqua
di grande rilievo come il Po, secoli fa nacque un poeta che con la
sua prima opera, Bucoliche, cantò di questa natura, ubertosa
anche per l´abbondanza d´acqua del grande fiume e dei suoi
affluenti; ebbene, dopo tanto tempo, e questa volta mi riferisco al
secolo appena trascorso, è nato un altro artista che con i suoi
versi rivela le stesse sensazioni ed emozioni. Diverso è lo stile,
completamente difforme è la struttura, ma lo spirito che dà vita
all´idea, che nobilita la creatività accomuna Umberto Bellintani a
Publio Virgilio Marone. Entrambi hanno visto la luce fra due fiumi,
per Bellintani il Po e il suo affluente Secchia, per Virgilio sempre
il Po e il suo affluente Mincio.
Sono
coincidenze che appaiono tanto più particolari ove si guardi al loro
grande amore per la natura; ci troviamo quindi di fronte a poeti
territoriali, benché Virgilio risulti indubbiamente padrone di una
universalità, rara e e avvincente come poche, ponendosi su un altro
livello, e con ciò senza togliere nulla alle indubbie qualità di
Bellintani. I tramonti, con le prime ombre della sera che cala
rasserenante, i lunghi silenzi, l´isolamento che consente la
campagna sono tematiche che ricorrono nel poeta di San Benedetto,
uomo che sente il respiro del fiume e della grande pianura e che ne
reinterpreta le sensazioni che avverte il suo animo. Eppure, a fronte
di tanta serenità, immancabile emerge il rapporto con la morte,
lancinante ( Più d´una rete luceva sulle acque, / stillando il
sole; di poi si sommergeva. / Ed era un giubilo d´allodole quando /
al pescatore sotto riva emerse / il giovinetto da quel fondo, il
corpo cereo. / Allora il pianto della madre ruppe in gridi / e quello
muto d´altre donne dilagò / ed era greve. /....), o struggente
( Passo di viso in viso e ritrovo il fanciullo / che un crudo
morbo mi tolse alla schiera / degli astuti nel gioco dei banditi. /
Ha nelle mani il suo arco di robinia / ed è forato nel piede, mi
conduce / sulla strada di un dolce ricordo. / / Ezio, mi senti? Sono
io, / sono io qui venuto alla tua tomba / e t´ho portato un
coccodrillo modellato / colle mani di allora. / / I veri amici sono
morti ad uno ad uno / e chi da morte non mi chiama non ha il volto /
che amavo, il volto dell´infanzia.) L´ultima poesia mi
ricorda, per l´emozione che comporta, un´altra, a me
particolarmente gradita, quell´Aquilone con la quale Giovanni
Pascoli, nel cantare la morte giovinetto di un compagno, canta anche
la morte della gioventù. Ebbene anche in Bellintani l´età, che
tanti definiscono giustamente la più bella, non è vista con
nostalgia o con rimpianto, ma solo come la fine definitiva di un
periodo che infatti mai più potrà tornare.
Uomo
di pianura, anzi della terra in cui affonda le radici per cercare se
stesso, il poeta di San Benedetto è tuttavia capace di trasmettere
in versi il respiro della natura, la forza arcana della stessa, in
una visione arcaica che credo non abbia eguali nella poesia del
secolo scorso. Però non mi si venga a dire che parla di un mondo che
non c´è più, perché invece c´è ancora, all´apparenza
mutato, ma il cui spirito permane, un soffio di esistenza che resiste
alle barbarie umane, alle distruzioni scellerate, e che l´animo,
aperto, spalancato del poeta chiaramente avverte e di cui dà
contezza.
Ed
ecco che allora si comprende che fil rouge ricorrente della morte non
è altro che un aspetto del ciclo della vita con il quale si avvia il
processo del ricordo, l´unico perché qualcosa resti di tutta
un´esistenza.
Sono
tante le poesie di questa raccolta, e del resto abbracciano un
lunghissimo periodo di tempo, in una varietà di argomenti che se non
stupisce almeno per certi aspetti sorprende. Ma su tutte è la natura
che fa da padrona e ricollegandomi a quel fil rouge di cui ho
accennato mi permetto di riportare l´ultima lirica, come definitive
sembrerebbero le ultime volontà in essa espresse e che riassumono sì
il pensiero di Bellintani, ma anche le caratteristiche di questa
gente di pianura che vive accanto al grande fiume. Si intitola Anche
per me quella bandiera: " anche per me una bandiera rossa, /
e un po´ di gente malvestita da Bardelle / venda da Brede, da
Camatta, Pontevecchio / in bicicletta, con le brache di fustagno /
lise e la vecchia mantellina di una volta. / Voglio morire d´inverno,
in misura che l´uomo è sulla terra: / povera cosa, malcerta, non
sicura / d´essere uno o nessuno , un topo o un gatto, / una
ciabatta, un coccio nero di bottiglia / per l´altrui piede o per il
proprio. / Anche per me dunque quella rossa / bandiera popolana. E
in tutta fretta 7 mentre la neve sfarfalla il vento rigido / io sia
calato nella fossa. Quando ritorni / alla sua casa ciascuno e
all´osteria / per ricordarmi quel poco che mi basta / udirli
ancora, un minuto prima che / morte completa mi abbia interamente. /
Intanto dico che sarà per me un conforto / anzi una gioia sapermi
con la povera / Tina Mazzali. Rammentatela. Vi prego.".
Non
credo sia necessario che aggiunga altro, perché Umberto Bellintani,
come tutti i poeti, quelli grandi, deve essere solo letto,
lasciandoci trascinare dal flusso di immagini e di pensieri che i
suoi versì, così evocativi, sono lì in paziente attesa per essere
colti.
Umberto
Bellintani (San Benedetto Po, Mantova, 1914
- Mantova 2000) poeta italiano. Al centro dei suoi versi, aspri e
insieme vibranti di affetti, è il paesaggio natale, un mondo paesano
che fa da scena alla grazia dell´infanzia, al dolore comune degli
uomini, a improvvise aperture mistiche: Forse un viso tra mille
(1953), Paria (1955), E tu che m´ascolti (1963). Pur continuando a
scrivere, scelse per molti anni di non pubblicare, ma nel 1998 diede
infine alle stampe Nella grande pianura, il suo libro più
importante, e Canto autunnale.
Renzo
Montagnoli