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  Racconti  »  Narrativa generica  »  Nei suoi occhi 13/10/2006
 

                   Nei suoi occhi

 

 

- Vieni via dalla strada.

Franco si volse a guardare la madre che gli faceva cenno di rientrare e rimase fermo sul ciglio della strada.

- Non vedi che passano i soldati che vanno al fronte, che gli autocarri rombano e quasi ti sfiorano?

No, non vedeva quello che diceva sua madre; le immagini scorrevano davanti ai suoi occhi, ma nemmeno le coglieva. Sentiva invece dentro di sé svilupparsi altre visioni: truppe a cavallo che procedevano al galoppo, elmi scintillanti nella luce del sole, spade lucenti sguainate come in una delle tante storie che il nonno gli aveva narrato, battaglie antiche, cozzi di scudi, scontri da cui sempre usciva vincitore il più buono, il più bravo.

E anche ora che soldati stranieri sfilavano dinnanzi a lui diretti verso il vicino fronte non riusciva a scorgere altro che gli eroi di quelle storie.

Si sentì strattonare e trascinare in casa.

- Vuoi capirlo che è pericoloso stare lì fuori! La guerra non è un gioco e tutti quei tedeschi lo sanno bene. Prova a guardarli in faccia: sembrano granitici, impassibili, ma non possono non aver paura e quando si combatte si muore anche.

- Le storie del nonno, però…

- Appunto, sono storie, favole, ma hanno sempre un fondo di verità e tutte le battaglie di cui parla ci sono state, anche se tanti anni fa.

Franco non disse niente, accostò una sedia alla finestra, vi salì per guardare, al riparo dei vetri, la fila interminabile dei soldati e riprese a fantasticare.

Sua madre si rivolse al nonno, quasi appisolato accanto al focolare – Pa', smettila di raccontargli delle battaglie dei secoli passati. Non vedi che non riesce più a vedere la realtà, che non capisce che siamo in guerra e non in una delle tue storie.

- E' troppo brutto questo tempo perché Franco possa accettarlo. Non è che un bambino di sei anni e i suoi occhi vedono la tragedia della guerra in modo diverso dai nostri, e forse è meglio così.

- Meglio un corno! Non voglio crescere un figlio che non è mai presente, che rifiuta la realtà, creandosi un mondo tutto suo.

- Passerà, passerà…

- E se non passa? E se poi in tutta la vita, anche quando verrà la pace, si rifiuterà di essere parte del mondo di tutti?

- Per il momento è meglio così; non voglio che viva con il timore che è sempre dentro di noi; non voglio che debba trasalire ogni volta che bussano alla porta; voglio che i suoi sonni rimangano leggeri e non come i nostri popolati solo da incubi.

- Va bene, hai sempre ragione tu.

- No, non è vero che ho sempre ragione, ma qualche volta il mondo deve apparire diverso da quello che è e questo è più facile per un bambino.

Già stava calando il sole e con esso il numero delle truppe che percorrevano la strada del paese.

Quando fu tutto buio e non si udì più il rumore sordo degli scarponi chiodati sul selciato, Franco si scostò dalla finestra e si mise a sedere accanto al nonno.

- Hai un'altra storia, nonno?

- Sì, ma non questa sera; è lunga e te la racconterò domani. Ora mangia e poi va di corsa a letto.

Pur a malincuore Franco obbedì e mise sotto i denti quel poco che c'era, poi si coricò.

Rimase a lungo a occhi aperti, contando i travicelli del soffitto, poi si sovvenne di una storia raccontatagli dal nonno qualche giorno prima, di un cavaliere indomito che per il bene di tutti combatteva contro i draghi e, mentre nella sua fantasia ne assumeva le sembianze, il sonno lo colse.

Al canto del gallo si risvegliò, porse l'orecchio alla strada, ma non udì rumori: tutto era quiete nell'alba di quel giorno. Si alzò e andò in cucina: il nonno si era addormentato accanto al focolare e aveva lasciato cadere la vecchia pipa. Il fuoco era spento e faceva abbastanza freddo; allora prese sulle sue ginocchia Marameo, il vecchio gatto, che si mise a far le fusa. La prima luce che entrava dalla finestra sciabolava il buio della camera, accentuando le ombre, in cui si immaginò di vedere schiere di armigeri, mentre il nonno era il suo fido scudiero e il micio che si strisciava contro il suo grembo altri non era che il destriero che presto l'avrebbe portato a cavalcare alla testa dei suoi prodi.

Improvvisamente udì bussare alla porta, prima un colpo forte, poi un vero e proprio tambureggiare. D'istinto si raggomitolò e quando in un frastuono di assi spezzate l'ingresso fu sfondato rimase impietrito nel vedere due ossessi che entravano nella stanza, gridando come pazzi.

- Rauss, rauss

Accorse sua madre e subito si prese un ceffone da uno dei due che allungò anche un calcio al nonno che faticava ad aprire gli occhi.

- Fuori, tutti fuori, andare in chiesa.

E furono spinti in strada, dove già c'era un corteo di insonnoliti paesani che procedeva, fra calci e pugni, verso la vecchia parrocchiale.

Si sentiva l'acre odore del fumo di alcune case che bruciavano e, ogni tanto, delle urla strazianti e poi degli spari.

Avvertì che qualcuno gli prendeva la mano e si volse a guardare: era il nonno, con il volto teso, che si sforzava di sorridergli.

- Che cosa succede nonno?

Il vecchio non rispose.

- Che succede insomma?

Mentre le lacrime gli rigavano il volto prese in braccio il nipotino e a bassa voce gli parlò.

- Ti racconto la storia che ti ho promesso e non aver paura, perché tutto quello che sta succedendo è parte di essa.

Tanti anni fa il nostro paese è stato invaso da un'orda di lanzichenecchi, mercenari tedeschi della peggior specie che non si fermavano davanti a nulla. Dove passavano loro restavano solo macerie fumanti e uccidevano tutti, ma non sapevano che c'era qualcuno con cui avrebbero dovuto fare i conti. Infatti, un cavaliere delle nostre parti, Franco da Barberino aveva radunato degli armati e si apprestava allo scontro decisivo.

- Si chiamava Franco come me!

- Sì, come te ed era forte e coraggioso.

Nel frattempo erano arrivati alla chiesa e furono costretti ad entrarvi. Il tempio, di per sé piccolo, non riusciva quasi a contenere tutta la gente. Il parroco cercò di parlare con il capo dei tedeschi, ma per tutta risposta gli spararono alla testa. La soldataglia poi abbatté il portone della chiesa  e portò un autocarro davanti all'ingresso.

Dentro i più piangevano e molti pregavano perché ormai avevano capito.

Il nonno si mise davanti al nipotino, quasi a fargli scudo.

- Lo scontro avvenne proprio in paese, sulla piazza della chiesa. I lanzichenecchi erano molti di più degli armigeri di Franco, ma questi non avevano paura, perché sapevano di essere nel giusto.

Fu alzato il telone dell'autocarro e così apparve una mitragliatrice con i suoi serventi.

- La battaglia iniziò all'alba e…

La voce si troncò di colpo, mentre partivano le prime raffiche della mitragliatrice.

Il vecchio si afflosciò su se stesso, mentre il sangue schizzava ovunque fra le grida, prima di terrore, poi di dolore. I serventi, con calma, alimentavano il mezzo di morte con nuove pallottole e continuarono a sparare come se nulla fosse, come a una esercitazione. Poi, a un cenno del loro capo, si fermarono; nella chiesa furono gettate una mezza dozzina di granate e quindi entrarono un paio di soldati. Si aggirarono nel carnaio, rivoltando i corpi; se qualcuno ancora respirava gli sparavano.

Franco, coperto dal corpo del nonno, era ancora vivo, anzi non era nemmeno ferito.

Se ne stava zitto, tutto lordo di sangue, e non riusciva a pensare a nulla; tutto gli sembrava così irreale, e non un sogno, ma un incubo.

Quando, sollevato il corpo del nonno, il tedesco lo scorse rimase un attimo senza decidere, poi prese un altro caricatore e lo infilò nel fucile.

Franco lo guardava stupito: era questo quindi il lanzichenecco?

Sì, lo era e allora chiuse gli occhi e si vide nei panni di un grande condottiero che andava a combattere il male per il bene di tutti, in una battaglia cruenta dove anche il suo scudiero era stato massacrato.

Il campo era quello tipico di un grande combattimento ed erano più i morti che i vivi, anzi erano sopravvissuti solo lui e il capo nemico, e adesso loro si sarebbero affrontati.

Il tedesco armò il fucile, guardò un attimo quel piccino dagli occhi chiusi che, rialzatosi, gli stava davanti, ritto, quasi impavido, poi alzò la canna dell'arma verso l'alto ed esplose un colpo.

- Finito?

- Finito.

- Allora usciamo e andiamo a Sant'Anna di Stazzema.

L'autocarro ripartì rombando, fra canti sguaiati.

Il piccolo riaprì gli occhi e si guardò intorno: Franco da Barberino aveva vinto la sua battaglia.        

    

   

 

 

 
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