La talpa
di Renzo
Montagnoli
Preciso subito che non intendo raccontare una vicenda
di spionaggio, cioè che la talpa non è quella che nelle spy story è
uno che, apparentemente sta con una parte, ma che invece lavora per il nemico.
Si tratta invece di ben altro e cioè della talpa vera e propria, quel simpatico
animaletto dotato di unghioni alle zampe anteriori, quasi cieco e che ama
vivere sotto terra, scavando lunghe gallerie e cibandosi di insetti e lombrichini. Nemmeno è mia intenzione scrivere un trattato
di zoologia, bensì voglio rendervi edotti di ciò che mi è accaduto questa
estate.
Un giorno ho notato un piccolo cratere nel terreno del
mio giardino e ho cominciato a pensare come si fosse formato, lungi
dall'accostare questo rilievo con foro centrale (quasi un vulcanetto) alla famigerata talpa. Il giorno dopo i crateri
erano diventati tre e il terzo giorno addirittura sei. Ne ho parlato con il mio
vicino che, candidamente, mi ha detto: “E' una talpa, probabilmente quella che
avevo io fino a una settimana fa e che sono riuscito ad allontanare.” Gli ho
chiesto subito come avesse fatto a liberarsi di quel fastidioso animaletto che
andava saccheggiano il mio bel prato all'inglese e lui mi ha parlato di un
dissuasore agli ultrasuoni, di basso prezzo, ma efficacissimo.
Per quanto ovvio ho provveduto ad acquistarlo subito,
l'ho messo in una posizione strategica con tante speranze. Infatti, il giorno
successivo, il numero dei crateri non era aumentato, con mia grande
soddisfazione, ma l'indomani, da sei che erano sono diventati dieci. Inoltre,
se il dissuasore elettronico non aveva effetto per la talpa, ne aveva invece
per me, perché, se è vero che l'ultrasuono non deve essere udito dall'orecchio
umano, a intervalli variabili una vibrazione stridente, anche se lontana,
cominciava a infastidire mia moglie e i miei vicini. Ho cambiato di nuovo
posizione all'apparecchio, i miei confinanti non si sono più lamentati e la
talpa ha continuato tranquillamente a devastarmi il giardino.
Non vi dico quante ricerche ho effettuato in Internet
per trovare un rimedio sicuro; tutti li ho sperimentati e mi sono anche costati
una somma non elevata, ma nemmeno piccola, provocando peraltro situazioni non
proprio piacevoli.
Infatti il ricorso ai fumogeni, una sorta di
candelotto da inserire in una delle gallerie e da accendere e il cui fumo
avrebbe dovuto irritare il pestifero animaletto ha avuto effetti del tutto
inattesi.
Dato che io avevo tappato i fori dei craterini, il gas sprigionato ha invaso le gallerie, con
spiccata preferenza per quelle che risultavano arieggiate, cioè di quelli i cui
i fori dei crateri non erano stati chiusi. Solo che non erano quelle nel mio
giardino, ma quelle delpraticello dei
confinanti. Io non c'ero, perché avevo dovuto andar via, ma mi è stato riferito
che i miei vicini hanno notato del fumo giallastro, dalla caratteristica puzza
di zolfo, uscire da alcuni punti del loro giardino. Poiché non riuscivano a
spiegarsi lo strano fenomeno, hanno iniziato a fare delle congetture,
improbabili senz'altro, ma per questo più credibili.
Ricorderò sempre la scena che ho trovato quando io e
mia moglie siamo tornati a casa: tutti i nostri vicini in strada, con aria
preoccupata e affranta, un automezzo dei Vigili del Fuoco, un altro della
protezione civile e un altro ancora del Laboratorio provinciale di analisi. Non
potendo accedere alla mia abitazione, perché il percorso era sbarrato,
vivamente ansioso pure io ho chiesto a uno della protezione civile che cosa
fosse accaduto. Questo, con aria sorniona e a bassa voce, come avesse dovuto
rivelarmi un gran segreto, mi ha spiegato la faccenda: “Non siamo ancora
sicuri, ma ci sono tutti gli elementi. Ricorda il terremoto di due anni fa? Può
essere che il movimento della faglia abbia fatto risalire il magma e che quelle
fumarole allo zolfo, che c'erano fino a poco fa, ne siano la prova”. Mi sono
subito rasserenato, perché mi è venuto subito in mente il fumogeno e allora, un
po' titubante in verità, mi sono permesso di dire: “A onor del vero, io avrei
un'ipotesi diversa.” Sono stato subito interrotto da un individuo un po' avanti
con gli anni e con la barba bianca: “Ma lei, che conoscenze scientifiche ha per
formulare un'altra ipotesi? Io sono un vulcanologo con esperienza di diversi
anni e temo che qui sotto ci sia un magma ribollente.” Al che io, quasi
ridendo: “Macché magma e magma! Nel mio giardino c'è una talpa e per mandarla via
proprio oggi ho acceso in una galleria un fumogeno allo zolfo.”
Il vociare all'intorno è cessato di colpo, il
vulcanologo mi ha guardato torvo, pareva quasi che volesse uccidermi, poi si è
rivolto ai vigili del fuoco, agli altri uomini di soccorso intervenuti: “Via,
andiamo via! E non disturbatemi più per queste sciocchezze. L'avevo detto
subito che non era un fenomeno naturale, che lo zolfo era troppo poco e non
sapeva abbastanza di uova marce. Via, che non abbiamo qui da perdere altro
tempo.”
Intanto, credo, che la talpa sotto terra, nel suo
comodo rifugio, ridesse a crepapelle.
Le era andata bene, ma non intendevo demordere e,
rientrato in casa, ho detto forte, in modo che anche lei, che ha un udito
sopraffino, potesse sentirmi:” O lei, o me! Il dato è tratto.”. E mi
sentivo come Giulio Cesare al Rubicone, più arrabbiato che battagliero, ma
disposto a tutto pur di liberarmi da quella peste.
Il giorno dopo ho provato con il veleno, un prodotto
reclamizzato come sicuro, cioè delle crisalidi avvelenate, da far cadere nelle
gallerie attraverso i fori dei crateri. Non avrei voluto ucciderla, ma
continuavo a ripetermi che l'aveva voluto lei. Non so quanti di questi
bocconcini avvelenati ho utilizzato, senz'altro un bel po' e alla sera sono
andato a letto colmo di speranza.
Il mattino dopo sono andato subito in giardino e con
mio grande disappunto ho notato che non solo i crateri erano aumentati, ma che
numerosi rospi, da anni frequentatori abituali, erano tutti distesi sull'erba,
con la pancia all'insù, morti da diverse ore. Era accaduti infatti che nel
distribuire le crisalidi avvelenate, più d'una mi era caduta per terra ed
evidentemente i poveri animaletti se ne erano cibati. Sono corso subito a
esaminare alcuni fori dei crateri, ho osservato bene il fondo e i bocconcini
avvelenati erano spariti. Mi è ritornata la speranza, ma giorno dopo giorno ho
dovuto ricredermi, con i nuovi monticelli che ormai butteravano il prato
rendendolo simile al suolo lunare.
Qualcuno mi ha suggerito allora due altri modi per
risolvere il problema; ho scartato subito il primo, cioè la pesca della talpa,
consistente in una lenza con amo su cui infilare alcuni vermettini, da posizionare nei fori degli scavi, e da
subito tirar su come il filo si tendeva; più che complicato, l'ho ritenuto,
giustamente, una presa per i fondelli.
L'altro metodo si basava sul finissimo udito della
peste, da infastidire con paletti infissi nel terreno, portanti in cima delle
bottiglie di plastica vuote, dei barattoli e dei campanacci. Con il vento
questi oggetti avrebbero dovuto creare un rumore tale da far impazzire la
talpa.
Così un giorno ho disseminato il giardino di questi
autarchici strumenti acustici e dato che da me spesso un po' di vento c'è è
iniziato un concertino che se di giorno non infastidiva più di tanto, di notte
diventava un tormentone, fino a quando i vicini mi hanno detto basta
con un tono che non ammetteva repliche, anzi devo dire che me l'ero vista
brutta, circondato da gente inferocita con gli occhi assonnati.
Li ho smontati subito e le notti non sono mai sembrate
così belle.
Che fare, allora? Ho provato a chiedere consiglio a un
giardiniere, che mi ha portato una trappola, fornendomi istruzioni sul dove e
sul come collocarla. L'ho posizionata in uno dei tunnel di maggior scorrimento,
ma ben poco convinto che avrebbe avuto effetto.
E invece, due giorni dopo, è scattata. La povera
bestiolina è praticamente deceduta sul colpo e la mia gioia e quella di mia
moglie per avere finalmente risolto il problema si è mescolata con il
dispiacere di aver dovuto sopprimere quell'esserino,
che è bello, soffice e con un musino simpatico.
Credo proprio che non la dimenticheremo e infatti ogni
tanto mi viene in mente, accompagnata da una punta di rimorso, ma per rimediare
penso subito ai giorni di battaglia a cui mi ha costretto, finendo comunque
sempre con il dire, fra me e me: “Bastava che si levasse di torno e invece…”.
Ovviamente ho conservato la trappola nel caso
che qualche parente venisse a cercare la defunta, che ora riposa
nell'adiacente campo seminato a mais, dove inutilmente ho cercato e sperato che
andasse.