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  Racconti  »  Narrativa generica  »  L'eterno riposo dona a loro , o Signore 21/12/2019
 
L’eterno riposo dona a loro, o Signore

di Renzo Montagnoli



Ogni anno, in questo giorno di metà aprile, esco dalla canonica e, sempre più malfermo sulle gambe, prendo la strada che lascia le ultime case del paese, per poi inoltrarsi nel bosco, e salire, dopo un paio di tornanti, sulla rupe dove, da tempo immemore, accanto alla chiesa dedicata a Santo Stefano c’è il nostro piccolo cimitero, talmente piccolo che per contenere tutti i nostri defunti gli stessi vengono sepolti in piedi. Già il sole è quasi scomparso dietro le cime innevate dell’Adamello e l’ombra sempre più si allunga, prendendo possesso dell’intera valle; è primavera, ma le ore di luce sono ancora poche, l’aria è frizzante e qua e là, irriducibili, ci sono ancora chiazze di neve. Che cosa mi spinge in questo posto di silenzio in un’ora così tarda? Che cosa mi impone di rinunciare alla comodità del divano e al tepore della vecchia stufa in ghisa per avventurarmi con le poche forze che mi rimangono in questo percorso dal luogo dei vivi a quello dei morti? Non sono pazzo, non ho la demenza senile, ma io, don Cherubino Solari, già parroco del paese, da alcuni anni rimosso per raggiunti limiti di età, vengo in questo posto in pellegrinaggio, per ricordare, ringraziando, chi non molti anni fa mi ridiede la fede che stavo perdendo. E’ una storia lunga e vedrò, per quanto possibile, di essere breve. Divenni prete più per soggezione che per vocazione, più per soggezione nei confronti dei miei genitori che tanto lo desideravano al punto di farmi battezzare con il nome di Cherubino. Ma poi, quale pastore del mio gregge, sentii nascere in me il desiderio di esserne la guida, di partecipare alle poche gioie e ai tanti dolori che guerre e malattie dispensavano a piene mani. Li accompagnavo nell’ultimo viaggio, convinto che sarebbero andati incontro a una nuova vita, ma quando mi lasciarono mio padre e mia madre sentii un vuoto profondo, una disperazione perché nulla poteva assicurarmi del loro cammino nella vita eterna. Fu un periodo infelice e non so se ne accorsero i miei parrocchiani, ma se percepirono qualcosa furono talmente fraterni da non darmelo a vedere. Erano giorni in cui a dubbi atroci si alternavano improvvise ed effimere certezze, in cui riperdevo la fede che avevo appena riagguantata, così che cominciai a disperare, ma proprio allora avvenne il fatto. Una famiglia veniva da anni in paese per la villeggiatura, tanto che avevano comprato una vecchia bicocca e l’avevano sistemata affinché il soggiorno non si limitasse solo a un paio di mesi estivi, ma anche a uno di quelli invernali. Erano un padre, una madre, una bambina e un cane. L’inverno prima non erano venuti e si seppe che era per le condizioni di salute della bimba, colpita da un male che non perdona. Quando la piccola (aveva otto anni) si accorse che la vita le sfuggiva di mano espresse il desiderio di venire a morire al paese e di essere sepolta nel suo cimitero. Non riuscii a farle visita quando era ancora viva perché come arrivò chiuse gli occhi per sempre. La ricordo bionda, minuta, quasi scheletrita, ma con il volto sereno. Il cane, un setter, guaiva ai piedi del letto, sembrava soffrire e poi mi dissero che morì alcune ore dopo. Il comune concesse la tumulazione nel proprio cimitero e così accompagnai anche lei nel suo ultimo viaggio, con i necrofori che, nell’ultimo tratto da fare a piedi portando in spalla la bara, si lamentavano del peso non trascurabile della stessa, tanto che a più d’uno venne il dubbio che vi fosse rinchiuso anche il corpo del cane. Dopo la messa nella chiesetta e la tumulazione mi attardai non so per quale ragione, ma anche allora, come adesso, scesero veloci le ombre della sera e alla luce quasi irreale della luna non vidi, ma avvertii due spiriti che lasciavano la terra per innalzarsi in cielo, e mi parve di sentire anche il latrato di un cane e un’esclamazione di gioia di una bambina. Alzai gli occhi al cielo, ora sapevo che esisteva un’altra vita, che non tutto finisce e mi sorpresi a dire fra le lacrime “L’eterno riposo dona a loro, o Signore”. Da allora non manco un anniversario e ogni volta avverto in me la presenza di due anime che si ritrovano, che gioiscono, che corrono per gli immensi prati del cielo, o che scendono giù al torrente a guardare la luna specchiarsi nelle pozze, o che risalgono queste vette innevate per fiondarsi nell’infinito. Alloro mi raccolgo in preghiera, mentre dentro di me cresce una gioia che vorrei gridare al mondo, una speranza per tutti, anche per chi non crede, perché in quest’ordine perfetto nulla si crea e nulla si distrugge. Anche ora mi scendono copiose le lacrime e prima di lasciare questo luogo di pace sussurrerò “L’eterno riposo dona a loro, o Signore”, aggiungendo “e anche a me” che avverto inesorabile, ma non più terribile, l’avvicinarsi di quell’ultimo passo.

Le stelle brillano in cielo, la luna sembra sorridere, e leggero come una piuma mi appresto a tornare a casa.


Nota: Il racconto ha origine da un fatto vero, dal desiderio di una bambina, malata, di essere sepolta nel cimiterino di quel paese che tanto amava. Il resto è frutto di pura creatività.




 
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