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Editoriali
» Dove ha vinto e dove ha perso Valentino Zeichen, di Ferdinando Camon |
10/07/2016 |
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Dove
ha vinto e dove ha perso Valentino Zeichen
di
Ferdinando Camon
"Avvenire"
7 luglio 2016
Valentino
Zeichen aveva il problema che abbiamo tutti noi che facciamo poesie e
romanzi: i soldi. Lui lo ha risolto come non doveva, come non poteva:
fregandosene. Uno che non si preoccupa dei soldi e li rifiuta,
rifiuta la borghesia, la società in cui vive. E la borghesia
rifiuta lui, non gli riconosce stipendio, pensione, sanità.
Casa. Servizi. Valentino Zeichen abitava in una baracca, col tetto di
lamiera. In grande disordine, fuori e dentro. Aveva una cucina, e
sapeva far bene la pasta, al sugo di pomodoro. Ce lo ricordava ieri
questo giornale. Valentino Zeichen era un poeta e non voleva essere
nient’altro, non un impiegato, non un dipendente. Questo è
bello. Ma non è saggio.
Chi vuole scrivere poesie, o
semplicemente scrivere, deve anche, necessariamente, fare un’altra
professione. Per vivere. Può anche vivere, male, della sua
scrittura, se scrive a puntate per qualche giornale o periodico. Lo
faceva anche Dostoevskij. Sua moglie teneva un quaderno, nel quale
annotava giorno per giorno le spese e le entrate. Fjodor doveva
pensare a guadagnare, lei pensava a risparmiare. Fjodor per la verità
pensava sempre a un’altra cosa: ogni volta che cambiava casa,
la sceglieva in modo che avesse una stanza dalle cui finestre lui
potesse vedere le cupole di una chiesa. Il tavolinetto su cui
lavorava era accostato alla finestra, un po’ a destra: Fjodor
temeva di morire d’improvviso, e voleva fare in tempo ad alzare
gli occhi alla chiesa e mormorare: “Salvami”. Ho visto le
opere di Moravia, nello studio di Dostoievski. Anche Moravia era un
senza-studi e senza-professione. Poiché una professione doveva
farla, scelse la più congeniale: il giornalista. Scriveva già
sul “Corriere”, ma da collaboratore, senza diritti a
pensione e sanità. Per fare il giornalista, doveva superare un
esame. L’esame prevedeva un tema scritto, da consegnare
anonimo, contrassegnato da un motto ripetuto su una busta chiusa,
dentro la quale stavano nome e cognome. La commissione valutò
il suo tema come appena sufficiente, voto: 6. Finiti i lavori, la
commissione aprì le buste, e scoprì di aver dato 6 al
più grande scrittore italiano vivente. Allora corresse il voto
in 6 e ½.
Anche Alfonso Gatto, grande poeta del
Novecento, non faceva altro che il poeta. Aspettava con ansia i
diritti da Mondadori, suo editore. Gli arrivava l’assegno.
Costernato, Gatto non lo riscuoteva in banca, perché non
valeva la pena. Ma lo inchiodava sul retro della porta del suo
appartamento a Roma. Entravo e vedevo questi foglietti svolazzanti.
“Perché li tieni qui?”, “Voglio che tutti
vedano quanto poco il mio editore paga la poesia”. Gli spiegavo
che l’editore gli pagava il giusto, per pagargli di più
doveva sottrarre soldi ad autori che guadagnavano di più,
perché scrivevano romanzi rosa o gialli o neri. Cosa voleva
Gatto?
Cosa voleva Zeichen? In una foto di qualche anno fa alza
sorridendo una Olivetti Lettera 22. Bellissima macchina, ma cosa ci
fai? Batti un articolo in 3 fogli A 4, poi li pieghi e li mandi per
posta a un giornale? Arrivano tre giorni dopo, che se ne fa il
giornale?
Zeichen viveva solo. Aveva un solo vestito
presentabile e un solo paio di scarpe eleganti. Vestito bene (era
anche un bell’uomo), cercava compagnia. Qualche ragazza ci
stava, perché l’uomo era carino, vestito chic, parlava
come pochi. Lui la portava a casa, ma quando lei vedeva la baracca
scappava a gambe levate.
Zeichen aveva bisogno di un
compromesso: poesie e libri, ma anche qualche soldo. Puntò sui
premi. Appena terminato un romanzo (per la verità, un vecchio
romanzo, rieborato), quest’anno puntò sul premio dei
premi, lo Strega. Per concorrere allo Strega bisogna essere ammesso
ai finalisti. Zeichen non fu ammesso. Due giorni dopo gli venne
l’ictus. Post
hoc, ergo propter hoc?
Lo Strega compie 70 anni, e manda una coppia di fotografi in giro per
le case dei vincitori ancora in vita, per allestire una galleria di
loro ritratti. Il messaggio è: “Voi siete grandi perché
avete vinto lo Strega”. Non è vero. Mi rifiuto di
ricevere quei fotografi e di accettare quel principio. Un libro può
essere grande anche se non vince niente. Uno scrittore non punta sui
premi. Punta sul proprio lavoro. Le poesie di Zeichen sono belle: è
una vittoria sulla borghesia. Ma Zeichen è morto com’è
morto: è una vittoria della borghesia. Ragazzi, anche se vi
sentite dei geni, trovatevi un lavoro.
www.ferdinandocamon.it
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