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Editoriali
» A scuola si va vestiti bene, di Ferdinando Camon |
09/06/2018 |
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A
scuola si va vestiti bene
di
Ferdinando Camon
"Avvenire"
27 maggio 2018
La
lunga, ma tutt’altro che inutile, discussione sugli studenti
che si presentano a scuola in t-shirt e le studentesse con i jeans
strappati sta per esaurirsi. Mi sia consentito aggiungere qualcosa
che, se non m’è sfuggito, non è stato detto. E
cioè che a scuola ci dev’essere un rapporto, una
sintonia, tra chi insegna e chi apprende, tra chi apprende e le cose
che apprende. Anni fa, quando c’era uno degli ultimi governi di
destra, per combattere il menefreghismo degli studenti qualcuno
propose che prima delle lezioni, nel cortile della scuola, si
procedesse all’alzabandiera, col suono dell’inno
nazionale. Si era convinti che in questo modo si caricava negli
studenti il senso dell’importanza del luogo e delle cose che in
quel luogo si trasmettevano da una generazione all’altra, e
l’importanza aveva a che fare con la nazione, con i genî,
con le vittorie, con gli eroi. Non ne ero molto convinto, perché
l’alzabandiera si fa nelle caserme, davanti ai soldati. Lì
sì che la storia della nazione e le vittorie hanno un senso
che impregna tutto. Ma gli studenti non sono soldati. Quando un
ragazzo diventa soldato, impara che la distinzione è fra
soldato e borghese. Ebbene, gli studenti sono borghesi, figli della
borghesia, eredi della borghesia. L’eredità consiste
nella cultura, la tradizione, l’arte, il pensiero, la ricerca,
insomma il passato. Sono valori altissimi. Il professore che legge e
spiega ai ragazzi sulla soglia dei vent’anni Dante o Leopardi
non può essere in t-shirt, e i ragazzi che l’ascoltano
non possono essere in pantaloni corti o jeans sdruciti. Per la stessa
ragione per cui, nel dopoguerra, non era decoroso insegnare in aule
sbrecciate dai bombardamenti. L’ambiente trasmette un
messaggio. I segni delle schegge cancellavano e sostituivano la
spiegazione di Paolo e Francesca o di Spinoza. Anche gli infradito, i
pantaloni corti e i jeans sdruciti trasmettono un messaggio, che
evoca il consumismo, il ludismo, la spiaggia, il drink, la serata con
gli amici, il divertimento, e non ha niente a che fare con la
scienza, l’arte, la letteratura. C’è un momento,
nel primo anno delle superiori, in cui l’insegnante legge e
spiega “Tanto gentile e tanto onesta pare”. È la
più bella poesia d’amore di tutte le letterature e tutti
i secoli. Dante dice che la donna che lui ama, e che nel giorno in
cui la rivede aveva 18 anni, quando rivolge il saluto a qualcuno
sembra tanto nobile e tanto pura che colui che vien salutato vorrebbe
rispondere al saluto ma la lingua gli trema in bocca, non riesce più
ad articolare le parole, diventa muta, e gli occhi vorrebbero fissare
per un attimo il fulgore della fanciulla che avanza, ma non riescono,
sono costretti a chinarsi verso terra, vergognosi della propria
indegnità. Aveva 18 anni Beatrice, hanno 18 anni le
studentesse che la sentono oggi. Beatrice, quel giorno, indossava un
lungo vestito color rosso fiammante. Chi la sente oggi deve
“capirla”. E per capirla deve sintonizzarsi, non la può
capire se è in pantofole, pantaloni corti e canottiera. Il
vestito è un messaggio, e il messaggio trasmesso dagli
studenti e dalle studentese non deve annullare il messaggio trasmesso
dall’insegnante, se no tanto vale saltare la lezione. Chi va a
lezione, di qualunque materia, anche Chimica, sa che la lezione lo
migliorerà, e deve disporsi a ricevere, non rigettare, non
danneggiare, non sminuire questo miglioramento. Scrivo questo
articolo in una città dove c’è un’antichissima
università nella quale gli studenti di Legge vanno a fare gli
esami in giacca e cravatta. Sono esami terrificanti. Ma i licei e gli
istituti superiori dove se m’invitano a parlare trovo metà
studentesse in jeans strappati, ho l’impressione che le altre
son presenti ma queste no. Son rimaste al bar, in piazza, in strada,
dagli amici. Non ascoltano, hanno altro per la testa. Che peccato!
Leggo, ma a me non è mai capitato, che potresti trovarti di
fronte a studenti con gli infradito. Credo che mi bloccherei. La mia
reazione sarebbe del tipo: “Io mi metto la cravatta, voi
mettetevi almeno le scarpe!”.
www.ferdinandocamon.it
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