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  Editoriali  »  Lavoro e disoccupazione, di Renzo Montagnoli 27/07/2020
 
Lavoro e disoccupazione

di Renzo Montagnoli



Un tema caro in modo particolare ai politici, sia che essi siano al governo, sia che si trovino all’opposizione, è quello della disoccupazione. E’ evidente l’importanza dell’argomento perché senza lavoro non si percepisce un reddito e quindi è impossibile condurre una vita normale. Di lavoro e disoccupazione si parla spesso in Italia, anzi se ne parla troppo senza mai risolvere il problema, che è costituito da una cronica eccedenza delle domande di lavoro rispetto alle offerte. Ho scritto cronica perché fin dall’avvio del Regno d’Italia (ma anche prima negli stati e staterelli italiani) le possibilità di lavorare erano notevolmente ridotte, a causa soprattutto della mancanza o dell’inadeguatezza dello sviluppo industriale che faceva sì che il mercato del lavoro fosse prevalentemente quello dell’agricoltura, un’attività che al nord era intensiva, mentre in parte del centro e soprattutto del sud era basata sul latifondo. In ogni caso l’abbondanza di mano d’opera faceva sì che pochi riuscissero a trovare un lavoro continuativo, mentre più diffuso era il fenomeno dei giornalieri. Dopo l’unificazione italiana le migliorate condizioni sanitarie fecero sì che diminuisse in modo drastico la mortalità infantile, incrementando così notevolmente il fenomeno della disoccupazione. Questa, unitamente ad altri fattori penalizzanti per le classi povere (misere al nord, miserrime al sud) diede luogo a un massiccio fenomeno di emigrazione; tra il 1861 e il 1915 lasciarono il nostro paese ben 9 milioni di abitanti.

Quando i fascisti salirono al potere venne fortemente limitata l’emigrazione, pur senza aumentare i posti di lavoro, anzi con la politica delle nascite si aggravò la situazione, a cui non recò beneficio né lo spostamento di veneti nell’Agro Pontino, né in Libia. Purtroppo, nonostante che gli anni successivi alla Seconda guerra mondiale con la ricostruzione e il successivo grande sviluppo economico dessero la parvenza di una soluzione radicale del fenomeno, l’emigrazione proseguì e in modo per niente trascutabile. Insomma, fra il 1861 e il 1985 hanno lasciato l’Italia, senza farvi poi ritorno, circa 18.725.000 suoi abitanti, un’intera nazione. Successivamente, per quanto le uscite alla riceca di lavoro all’estero siano diminuite, appaiono pur sempre non trascurabili. A livello politico c’è chi dà colpa di ciò al massiccio fenomeno dell’immigrazione, ma mente sapendo di mentire, perché chi arriva, soprattutto dall’Africa, nel nostro paese va a fare quei lavori, spesso mal retribuiti, che i nostri giovani non vogliono più fare, in forza anche del titolo di studio conseguito. Allora, come può essere possibile risolvere una volta per tutte il problema della disoccupazione? La risposta è semplice: creando opportunità di lavoro. Per far questo però è indispensabile che le aziende amplino il loro giro d’affari, che conquistino nuove quote di mercato e che siano disposte a investire capitali di rischio. E’ necessario pertanto che l’attività d’impresa sia dinamica, pronta a cogliere i momenti favorevoli, votata alla creatività e con un senso di appartenenza che faccia dire all’imprenditore: “ Ho rischiato, ma i risultati sono buoni, ho dei bei guadagni e ho contribuito al benessere del paese dando lavoro a tanta gente.” Purtroppo, non tutti, ma una buona parte dei nostri imprenditori, anziché essere innovativi, sono conservativi, insomma tirano a campare, accontentandosi della loro dimensione, perché tanto, se le cose dovessero mettersi male, ci sono sempre imprenditori stranieri, soprattutto cinesi, disposti a rilevare le relative attività. E’ evidente che questo ragionamento non rappresenta un passo avanti nella costruzione di una coscienza socio-economica nazionale; quindi, nonostante la continua contrazione della natalità, c’è ancora, evidente, un surplus di domanda sull’offerta.

Per ovviare a questo occorre una visione di largo respiro, è necessaria una schiera di politici che diano un indirizzo comune al paese, rappresentando gli interessi di tutti, una soluzione che richiede tuttavia tempi non brevi per la sua realizzazione, ma che comunque sarebbe di sicuro risultato. A questa Nazione, di cui sono parte e che amo, ciò che manca è tanto, ma soprattutto è una coscienza comune e uno scopo condiviso, allo stato un sogno che potrebbe presto trasformarsi in una chimera se non si dovesse avviare, con rapidità, un processo di rifondazione dello Stato.



 
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