Alba
antica
di
Aurelio Zucchi
Sul
mare del passato di un poeta
tuttor
si pavoneggia l’alba antica
che
lui non vede eppur morta non crede.
Il
bel ricordo avanza verso l’oggi
e
la sostanza appena ne scalfisce
com’onda
bassa ch’a baciar lo scoglio
residui
d’erba bruca al suo passaggio
lasciando
eretta la falesia, esposta
al
sole, al vento e del cielo all’acqua.
Mirabil
vista viene offerta agli occhi
nel
mentre monta ingenua onnipotenza
per
quel serbar, del catenaccio in atto,
la
chiave ch’apra la sala dei miraggi
rivolta
a Sud con la finestra al sole
e
giù, al mar, salsedine impazzita.
L’ancor
dormiente e provocante specchio
al
Nostro va, protetto dalla sorte
nella
porzion di tempo ad intervallo
tra
il cobalto e la nascente aurora
e
calmo il miracolo s’avvera
al
primo raggio sopra l’orizzonte.
E
nastri e nastri incidono la luce
sul
blu ch’adesso vuol chiamarsi azzurro,
azzurro
pria che il cielo se n’avveda.
Schiarito
appar metà dell’universo
a
mo’ di quando dopo il lungo inverno
i
primi verdi muovono la zolla
prendendo
posto ov’era solo brina
con
il silenzio a fare da interregno
nel
freddo assolo regalato al vento.
Fantasma
destinato negli abissi,
solitudo,
che scoglio or abbandona,
sfibrata
defluisce verso il largo
e
lascia spazio a piedi di fanciullo
dacché
le orme su quel ner lui vuole
calcare
ancora come pria ha fatto.
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