Scalata
al Giovo
di
Gianluca Ferrari
Partivamo
all’alba seguendo
gli
ultimi sentieri di rugiada
che
come ponti sospesi
andavano
svanendo ad ogni pesta
(e
un’abissale brezza
alle
nostre spalle); sopra, lo stesso:
ultime
stelle, precarie funi concave
si
sfilacciavano. Lungo
intermessi
di fieno fino
alle
enormi felci, ai traslucidi
boschi
di betulla o agl’incupiti abeti.
L’aria
si assottigliava, noi di profilo
sul
crinale sbalzati in altorilievo
di
lamine d’oro ed ombre improvvise
(passaggi
di nubi, foschie mattutine):
teoria
di ricurvi profeti in fila indiana
e
verbo di allegra fatica
–
era
una mirra abbacinante l’aria.
Talvolta
corse a perdifiato
nel
verde vertiginoso – gli estremi
ciuffi
d’erba stenta simili a serpi…
e
si piombava rapaci
sopra
un masso inerme solitario
(a
cardi, a ortiche somigliavano
i
respiri dopo quelle impazzate)!
Poi
la nerezza brulla, calvizie
sul
cocuzzolo della montagna.
E
ci riscoprivamo inesorabilmente
secondi:
le croci in ferro
già
contornate da fitte perle
legate
al filo d’un ronzio insistente:
nera
collana lasciata dalle capre.
Da Il
posto del fragole (edito in proprio, 2018)
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