Acqua
alta a Venezia
di
Danila Oppio
Tra
le calli di Venezia, invase dall’alta marea
urto
la folla che non vedo – trasparente indifferente.
Indossando
stivali di nuvola adamantina
trasmigro
da un marciapiede inesistente
evitando
una pozzanghera e una gondola made in China.
(L’ombra
della solitudine mi segue)
Nelle
vetrine i vetri di Murano, dall’artigiano
sapientemente
soffiati gridano
la
loro indifesa fragilità – la stessa mia emotiva.
Mi
soffermo assorta, un’altra me furtiva
sbircia
da un antico specchio. Osservo entusiasta
il
mio cuore lì riflesso, che mai avevo visto prima
Lo
tenevo in tasca e basta.
(L’ombra
della solitudine si scosta)
Se
scivolassi su pozze salmastre
s’infrangerebbe
come cristallo.
Non
mi ero mai accorta quanto
vulnerabile
fosse quell’oggetto scordato
nel
vecchio impermeabile sdrucito.
(L’ombra
della solitudine si allontana)
Entro
nella bottega e chiedo all’artigiano:
“Potrebbe
indicarmi il valore
di
questo mio reperto antico?
A
suo vedere xèlo ancora bòn?”
L’artigiano
sorride mentre lo ripone
con
garbo in uno scrigno di velluto
“El
me piase siora. El compro mi,
se
no’l ghe despiase.”
D’improvviso
l’acqua alta si ritira
e
una rosea pennellata
colora
-così ai miei occhi pare –
uno
dei più bei tramonti veneziani.
(E
la solitudine definitivamente scompare)
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