Il
brutto in salsa aurora
di
massimolegnani
Assomigliava
a una clavetta da ginnasta o se preferite a un birillo da bowling,
insomma immaginate una testa e un tronco sottili, seguiti da un
addome svasato, che si slargava verso il basso come per un peso
sopraffatto dalla forza di gravità. Di buono c’era che
l’aspetto non era peggiorato negli anni, il grave però
era che partiva da una situazione disastrosa dalla quale non s’era
più schiodato. Un cranio piccolo ed un naso lungo ed affilato
erano i tratti salienti, ma non si deve tralasciare il mento aguzzo e
la forte miopia che lo costringeva a portare due fondi di bottiglia
al posto degli occhiali, elemento questo che contribuiva a
conferirgli un’aria poco intelligente. Ma cretino non era,
tant’è che era ben conscio del proprio aspetto poco
attraente.
Quando
aveva iniziato ad insegnare, per acquistare un minimo di
autorevolezza, s’era lasciato crescere una barbetta che era
risultata da subito recalcitrante a svilupparsi correttamente. I suoi
studenti avevano ben presto notato il comportamento bizzarro del suo
apparato pilifero: a mano a mano che l’onore del mento e delle
guance cresceva a cespuglietti sparsi, con il medesimo ritmo si
diradavano i capelli.
Il
nostro professore aveva di certo un nome, ma i suoi colleghi lo
avevano dimenticato da quando lo avevano visto pranzare alla mensa
scolastica: lui s’ingozzava come un tacchino poco prima di
natale e aveva un modo così maldestro di portare il cibo alla
bocca che spesso lo perdeva per strada o gli si incagliava tra barba
e baffi, lasciando sul volto e sugli abiti enormi aloni indecorosi.
Così gli avevano appiccicato il nomignolo di Brutto
in salsa aurora che per
praticità di volta in volta veniva abbreviato in Brutto
o in Aurora
a seconda che si volesse rimarcarne l’aspetto desolante o
l’atteggiamento troppo schivo che faceva sospettare torbidi
retroscena.
Il
Brutto aveva accettato
passivamente il suo destino, rassegnandosi presto ai pranzi solitari
in mensa e alle ore di lezione trascinate con fatica fino alla
campanella. In pratica il nostro professore mirava ormai alla
pensione, unico mezzo per potersi prospettare una vita differente. Ma
la vita, si sa, non ammette la prevedibilità e spesso di
fronte a un’esistenza troppo piatta s’inventa la
bizzarria di un’impennata.
Quando
la nuova insegnante d’italiano, arrivata da pochi giorni nella
scuola, depose il vassoio di fronte al suo dicendo permette?,
lui non capì nemmeno che cosa avrebbe dovuto permettere.
Quando poi questa, sedendosi, aggiunse piacere,
Aurora, il professore
pensando all’ennesimo scherzo dei colleghi reagì di mala
grazia e, anziché rispondere pronunciando il proprio nome,
infilò in bocca, e nei paraggi, un’enorme forchettata di
spaghetti.
Ma il
giorno seguente Aurora era di nuovo lì al suo
tavolo.
Difficile
dire se fosse una bella donna, perché gli occhi con cui noi la
vediamo sono quelli del Brutto che non erano indubbiamente molto
obbiettivi, poco avvezzi alla bellezza e troppo stupefatti per
poterlo diventare in questo frangente. Di certo era una persona di
carattere, di quelle che mal sopportano che gli altri, soprattutto in
un ambiente nuovo, diano dritte precise su chi è simpatico e
chi no, e ci possiamo immaginare come le fosse stato descritto il
collega di fisica. Così Aurora di pranzare al suo tavolo ne
aveva fatto una questione di principio. Ma questo il Brutto non lo
sapeva, gli era piombata una ragazza nel piatto e dopo un iniziale
sbigottimento aveva deciso di non chiedersi da dove fosse piovuta e
perché. Del resto Aurora aveva progressivamente dimenticato il
motivo iniziale che la portava ogni giorno a quel tavolo, cominciando
a interessarsi sul serio a quel tipo bizzarro e in qualche modo
simpatico. Lo trattava con una certa ruvidezza, forse per ricordare a
se stessa i limiti di colui che aveva di fronte, ma intanto ne era
attratta, le piaceva la sua aria genuina e quel suo parlare lento,
vagamente ricercato. Lui, dal proprio canto, era diventato meno
sciatto nel vestire e più controllato nel mangiare.
Quando
un giorno, dopo circa un mese di frequentazione, Aurora, nel corso di
un’accalorata discussione sul significato etimologico della
parola simpatia, gli aveva accarezzato ripetutamente il dorso della
mano, forse per convincerlo a darle ragione, il professor Carletto
Vinciguerra, in grande confusione, per la prima volta si rammaricò
che di lì a poco sarebbe andato in pensione.
|