I
ragazzi di Van Gogh
di
massimolegnani
L’apparenza
è una brutta bestia che ci avvelena il sangue e c’impedisce
di vedere oltre. Noi gente per bene quando li incontriamo per strada,
o fuori dai cancelli dell’Istituto d’arte dove poi magari
nemmeno entrano preferendo bighellonare in giro, quando li
squadriamo, i jeans laceri, la musica chiassosa nelle orecchie, le
capigliature rasta e i capelli fucsia, gli spinelli e gli occhi
appannati, scuotiamo la testa e cambiamo marciapiede snocciolando
mentalmente il rosario delle ovvietà e delle maldicenze, ah
‘sta gioventù sbracata non c’è speranza. E
invece la speranza c’è e bella, se solo sapessimo
l’entusiasmo e l’estro artistico di cui sono capaci sotto
l’aspetto poco promettente. Io ho avuto la fortuna di
incrociarli in più occasioni, generazioni di studenti che non
mutano negli anni, brutta crosta dura e mollica morbida, se vogliamo
usare una metafora da panetteria. Più di vent’anni fa i
primi sono stati quelli che hanno affrescato l’ambulatorio
della Pediatria, per una settimana a dipingere dinosauri verdi alle
pareti con un’allegria contagiosa e una bravura inimmaginabile.
Me li ricordo, chiassosi e impertinenti lavorare sodo per ore e ore
senza alcuna ricompensa se non la soddisfazione di rendere più
vivibile un luogo di piccole e grandi sofferenze. Avevano immortalato
anche me su una parete, un dinosauro un po’ citrullo in camice
e fonendo con tanto di targhetta col mio nome e quanti bambini ho
tranquillizzato mostrando la mia caricatura mentre li visitavo. Poi
il reparto è stato spostato in altri locali e loro, per me
sempre gli stessi ragazzi anche se della generazione scolastica
successiva, a dipingere da capo, questa volta su grandi tele, non più
dinosauri ma treni allegri e surreali, sospesi per aria, che
avrebbero fatto la gioia di Magritte e Chagall.
E
adesso quest’ultima generazione durante i giorni di co-gestione
ha deciso, anziché sfaccendarsi in fesserie, di affrescare a
tutta parete l’aula dove studiano arte. Si sono divisi compiti
e competenza, la riproduzione in scala dell’opera, la
preparazione del fondo, la scelta dei colori il più simili
all’originale, le prove e la pittura definitiva. In pochi
giorni la notte stellata ha preso forma e sostanza. Ed eccola lì
la loro opera, forse non la si può definire opera d’arte
ma è opera loro fatta con bravura. Sono convinto che se Van
Gogh potesse vedere il risultato ne sarebbe orgoglioso e finalmente
si aprirebbe un sorriso sul suo volto eternamente sofferto. Bravi,
ragazzi!
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