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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  I ragazzi di Van Gogh, di massimolegnani 22/06/2018
 

I ragazzi di Van Gogh

di massimolegnani



L’apparenza è una brutta bestia che ci avvelena il sangue e c’impedisce di vedere oltre. Noi gente per bene quando li incontriamo per strada, o fuori dai cancelli dell’Istituto d’arte dove poi magari nemmeno entrano preferendo bighellonare in giro, quando li squadriamo, i jeans laceri, la musica chiassosa nelle orecchie, le capigliature rasta e i capelli fucsia, gli spinelli e gli occhi appannati, scuotiamo la testa e cambiamo marciapiede snocciolando mentalmente il rosario delle ovvietà e delle maldicenze, ah ‘sta gioventù sbracata non c’è speranza. E invece la speranza c’è e bella, se solo sapessimo l’entusiasmo e l’estro artistico di cui sono capaci sotto l’aspetto poco promettente. Io ho avuto la fortuna di incrociarli in più occasioni, generazioni di studenti che non mutano negli anni, brutta crosta dura e mollica morbida, se vogliamo usare una metafora da panetteria. Più di vent’anni fa i primi sono stati quelli che hanno affrescato l’ambulatorio della Pediatria, per una settimana a dipingere dinosauri verdi alle pareti con un’allegria contagiosa e una bravura inimmaginabile. Me li ricordo, chiassosi e impertinenti lavorare sodo per ore e ore senza alcuna ricompensa se non la soddisfazione di rendere più vivibile un luogo di piccole e grandi sofferenze. Avevano immortalato anche me su una parete, un dinosauro un po’ citrullo in camice e fonendo con tanto di targhetta col mio nome e quanti bambini ho tranquillizzato mostrando la mia caricatura mentre li visitavo. Poi il reparto è stato spostato in altri locali e loro, per me sempre gli stessi ragazzi anche se della generazione scolastica successiva, a dipingere da capo, questa volta su grandi tele, non più dinosauri ma treni allegri e surreali, sospesi per aria, che avrebbero fatto la gioia di Magritte e Chagall.

E adesso quest’ultima generazione durante i giorni di co-gestione ha deciso, anziché sfaccendarsi in fesserie, di affrescare a tutta parete l’aula dove studiano arte. Si sono divisi compiti e competenza, la riproduzione in scala dell’opera, la preparazione del fondo, la scelta dei colori il più simili all’originale, le prove e la pittura definitiva. In pochi giorni la notte stellata ha preso forma e sostanza. Ed eccola lì la loro opera, forse non la si può definire opera d’arte ma è opera loro fatta con bravura. Sono convinto che se Van Gogh potesse vedere il risultato ne sarebbe orgoglioso e finalmente si aprirebbe un sorriso sul suo volto eternamente sofferto. Bravi, ragazzi!

 
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