Ho
incontrato uno svizzero felice
di
massimolegnani
Per
prima cosa, appena alzato, spalanca vetri e ante della finestra che
dà sul lago. A quell’ora l’aria è pungente
anche in primavera ma per nulla al mondo rinuncerebbe a quel primo
sguardo di tacita benevolenza sulla piazzetta, ai pochi passanti che
ha imparato a riconoscere ad uno ad uno, ai platani frondosi che
fanno vagamente Francia, al lambire del lago i gradoni di ciottoli,
ai cigni presuntuosi come guardie giurate nel pattugliare la riva,
allo scuolabus che raccoglie i cinque o sei bambini del paese come
una chioccia i suoi pulcini. Konrad abbraccia con gli occhi i
dettagli della scena che si replica identica ogni mattino e la guarda
come fosse un’eterna novità. È la conferma
quotidiana di aver fatto, due anni prima, la scelta giusta:
abbandonare Basilea troppo opprimente, smettere i panni dello
svizzero modello, tutto lavoro, perbenismo e soldi, chiudere conti e
conoscenze e andare verso sud per essere se stesso.
Non
fosse stato per il guasto al locomotore è probabile che lui si
sarebbe spinto ben più addentro all’Italia, magari fino
a raggiungere un mare scintillante. Invece il treno si era
irreparabilmente fermato poche decine di chilometri oltre il confine,
giusto all’altezza di Mergozzo. Konrad ripensa spesso a
quell’episodio: aveva passato la notte nell’unico albergo
del paese e il mattino seguente, folgorato forse dalla nebbiolina
adagiata sul piccolo lago o dalla quiete operosa di questa stessa
piazzetta, aveva deciso che Mergozzo sarebbe stata la sua nuova casa.
E
così è stato. Da allora vive il paese come un vestito
tagliato su misura proprio per lui.
Al
mattino esce di casa e per prima cosa va all’edicola, scambia
due chiacchiere con il giornalaio, possibilmente non sul tempo ma su
qualche avvenimento locale, e ritira i tre quotidiani, uno svizzero,
uno tedesco, uno italiano, che questi gli ha tenuto da parte. Poi,
con quelli arrotolati sotto il braccio, percorre il breve lungolago
alla volta dell’ultimo bar, laggiù al fondo della
passeggiata dove finisce il lastricato e inizia il bosco. Lì
trascorrerà l’intera mattinata. Il tragitto è
breve ma lui lo intervalla con frequenti soste, qualche parola con le
persone che incontra, una carezza al bastardino a cui talvolta
procura qualcosa da mangiare, o semplicemente s’arresta per
osservare il cielo e il lago, indugia sul ristretto orizzonte che li
racchiude e prova un senso di gioiosa appartenenza a quel piccolo
mondo.
Oggi
indossa un paio di jeans piuttosto aderenti, un maglioncino di cotone
portato a pelle e un piumino senza maniche di un rosso assai vivace.
Un abbigliamento forse poco adatto a un cinquantenne, ma Konrad lo
porta con una certa grazia, convinto che non è più
tempo di nascondersi. Non c’è sfoggio, né alcuna
manifestazione esplicita, ma nemmeno c’è più quel
mimetizzare i propri orientamenti dentro un completo grigio e una
cravatta scura.
Arrivato
ai tavolini del suo bar sorride alle due cameriere che gli dedicano
piccole premure, tienitelo ancora addosso il piumino che tira
vento, gli dice una, sistemati a questo tavolino che è
più riparato, fa eco l’altra. Se lo coccolano come
fosse l’unico cliente e lui ricambia interessandosi di loro con
sincerità.
Per
qualche tempo Konrad si isola dal mondo, sfoglia i giornali,
sgranocchia un croissant e ne lancia briciole ai passeri che lo
avevano subito circondato.
Poi
richiude i quotidiani, si spazzola accuratamente il maglioncino e si
guarda intorno. Non impiega molto a trovare le parole adatte per
attaccare discorso con un ciclista seduto poco distante. La scusa è
una sigaretta che costui si è accesa, poco si concilia con
l’attività sportiva, fa notare lo svizzero,
sorridendo. Il suo italiano è fluido, appena increspato da
qualche consonante più dura del dovuto, e il tono è
sornione, più di complicità che di rimprovero. E in una
sorta di solidarietà s’accende anche lui una sigaretta
avvicinandosi al tavolino del suo interlocutore per condividere il
portacenere. Mentre parla ha qualche gesto un po’ affettato, si
liscia un sopracciglio, giochicchia con un braccialetto in rame, fa
alcuni anelli di fumo tondeggiando la bocca in modo quasi civettuolo,
ma nel complesso ha un atteggiamento simpaticamente affabile e nulla
più. L’altro, il ciclista, dopo aver risposto ridendo di
meritarsi fumo e riposo essendo ormai alla fine del suo giro e dopo
aver dato poche altre risposte, la provenienza, l’itinerario
seguito, preferisce assumere il ruolo dell’ascoltatore. Così
Konrad ha spazio e agio di raccontarsi poco alla volta, avendo
l’accortezza di partire sempre dalle affermazioni del suo
interlocutore, lo elogia per i chilometri pedalati, decanta la Val
d’Intelvi dove anch’egli era stato, l’ho
attraversata a piedi in tre giorni con un amico, dormivamo in tenda e
ha sempre piovuto eppure ho un buon ricordo di quella vacanza, ha
parole di apprezzamento per la sua città, ci vado spesso
per puro piacere, amo salire verso i Cappuccini e osservare le sue
impareggiabili piazze nella luce della sera. In ogni sua
affermazione si intravvede un retroscena che lui lascia vago sullo
sfondo. Poi, come ci riflettesse solo in quel momento, fa notare come
loro due abbiano compiuto un percorso simile ma inverso, lei dal
Piemonte è risalito in Svizzera, io dalla Svizzera sono sceso
in Italia. E ora ci incontriamo qui, come a chiudere un cerchio.
Sulle ultime parole Konrad assume un tono più serio, quasi
solenne, e per qualche istante fissa negli occhi l’uomo che ha
di fronte, forse per vedere se nel suo sguardo s’accende la
scintilla. Sono brevi attimi. Quindi, di fronte all’impassibilità
dell’altro, riprende i modi giovialii e si sofferma
sull’episodio del guasto al treno che l’ha condotto su
questo lago di cui ignorava l’esistenza.
Il
ciclista lo ascolta con una specie di indulgenza e un minimo di
vanità per essere al centro di tanto interesse. I suoi gusti
sono altri, più tradizionali, ma in fondo non c’è
nulla di diverso da quando è lui a cercare di suscitare
l’interesse di una donna: si tratta sempre del gioco sottile di
una momentanea seduzione, senza una reale intenzione di andare oltre.
Lo svizzero è un buon incassatore, sorride divertito, parla
d’altro senza però rinunciare a lanciare ancora qualche
amo, forse più per abitudine che per convinzione. In ogni caso
il ciclista non abbocca.
E
poi per lui è il momento di riprendere i pedali, si alza quasi
dispiaciuto di interrompere quella schermaglia fatta di vaghe
allusioni e di taciti rifiuti.
Mentre
s’è ormai lasciato alle spalle il lago ripensa al loro
incontro, all’originalità di quell’uomo, non tanto
alla sua supposta omosessualità quanto alla gioia di vivere,
di muoversi con eleganza in equilibrio sul filo della vita, che
trapelava da ogni sua parola. Konrad al momento del commiato gli
aveva chiesto il permesso di pagare le sue consumazioni, più
che un omaggio un semplice modo perché lei qualche volta si
ricordi di me.
Il
ciclista sa che il modo migliore per ricordare una persona è
scriverne. E allora mentre pedala già comincia a elaborare un
possibile racconto.
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