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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Ho incontrato uno svizzero felice, di massimolegnani 14/07/2018
 

Ho incontrato uno svizzero felice

di massimolegnani



Per prima cosa, appena alzato, spalanca vetri e ante della finestra che dà sul lago. A quell’ora l’aria è pungente anche in primavera ma per nulla al mondo rinuncerebbe a quel primo sguardo di tacita benevolenza sulla piazzetta, ai pochi passanti che ha imparato a riconoscere ad uno ad uno, ai platani frondosi che fanno vagamente Francia, al lambire del lago i gradoni di ciottoli, ai cigni presuntuosi come guardie giurate nel pattugliare la riva, allo scuolabus che raccoglie i cinque o sei bambini del paese come una chioccia i suoi pulcini. Konrad abbraccia con gli occhi i dettagli della scena che si replica identica ogni mattino e la guarda come fosse un’eterna novità. È la conferma quotidiana di aver fatto, due anni prima, la scelta giusta: abbandonare Basilea troppo opprimente, smettere i panni dello svizzero modello, tutto lavoro, perbenismo e soldi, chiudere conti e conoscenze e andare verso sud per essere se stesso.

Non fosse stato per il guasto al locomotore è probabile che lui si sarebbe spinto ben più addentro all’Italia, magari fino a raggiungere un mare scintillante. Invece il treno si era irreparabilmente fermato poche decine di chilometri oltre il confine, giusto all’altezza di Mergozzo. Konrad ripensa spesso a quell’episodio: aveva passato la notte nell’unico albergo del paese e il mattino seguente, folgorato forse dalla nebbiolina adagiata sul piccolo lago o dalla quiete operosa di questa stessa piazzetta, aveva deciso che Mergozzo sarebbe stata la sua nuova casa.

E così è stato. Da allora vive il paese come un vestito tagliato su misura proprio per lui.

Al mattino esce di casa e per prima cosa va all’edicola, scambia due chiacchiere con il giornalaio, possibilmente non sul tempo ma su qualche avvenimento locale, e ritira i tre quotidiani, uno svizzero, uno tedesco, uno italiano, che questi gli ha tenuto da parte. Poi, con quelli arrotolati sotto il braccio, percorre il breve lungolago alla volta dell’ultimo bar, laggiù al fondo della passeggiata dove finisce il lastricato e inizia il bosco. Lì trascorrerà l’intera mattinata. Il tragitto è breve ma lui lo intervalla con frequenti soste, qualche parola con le persone che incontra, una carezza al bastardino a cui talvolta procura qualcosa da mangiare, o semplicemente s’arresta per osservare il cielo e il lago, indugia sul ristretto orizzonte che li racchiude e prova un senso di gioiosa appartenenza a quel piccolo mondo.

Oggi indossa un paio di jeans piuttosto aderenti, un maglioncino di cotone portato a pelle e un piumino senza maniche di un rosso assai vivace. Un abbigliamento forse poco adatto a un cinquantenne, ma Konrad lo porta con una certa grazia, convinto che non è più tempo di nascondersi. Non c’è sfoggio, né alcuna manifestazione esplicita, ma nemmeno c’è più quel mimetizzare i propri orientamenti dentro un completo grigio e una cravatta scura.

Arrivato ai tavolini del suo bar sorride alle due cameriere che gli dedicano piccole premure, tienitelo ancora addosso il piumino che tira vento, gli dice una, sistemati a questo tavolino che è più riparato, fa eco l’altra. Se lo coccolano come fosse l’unico cliente e lui ricambia interessandosi di loro con sincerità.

Per qualche tempo Konrad si isola dal mondo, sfoglia i giornali, sgranocchia un croissant e ne lancia briciole ai passeri che lo avevano subito circondato.

Poi richiude i quotidiani, si spazzola accuratamente il maglioncino e si guarda intorno. Non impiega molto a trovare le parole adatte per attaccare discorso con un ciclista seduto poco distante. La scusa è una sigaretta che costui si è accesa, poco si concilia con l’attività sportiva, fa notare lo svizzero, sorridendo. Il suo italiano è fluido, appena increspato da qualche consonante più dura del dovuto, e il tono è sornione, più di complicità che di rimprovero. E in una sorta di solidarietà s’accende anche lui una sigaretta avvicinandosi al tavolino del suo interlocutore per condividere il portacenere. Mentre parla ha qualche gesto un po’ affettato, si liscia un sopracciglio, giochicchia con un braccialetto in rame, fa alcuni anelli di fumo tondeggiando la bocca in modo quasi civettuolo, ma nel complesso ha un atteggiamento simpaticamente affabile e nulla più. L’altro, il ciclista, dopo aver risposto ridendo di meritarsi fumo e riposo essendo ormai alla fine del suo giro e dopo aver dato poche altre risposte, la provenienza, l’itinerario seguito, preferisce assumere il ruolo dell’ascoltatore. Così Konrad ha spazio e agio di raccontarsi poco alla volta, avendo l’accortezza di partire sempre dalle affermazioni del suo interlocutore, lo elogia per i chilometri pedalati, decanta la Val d’Intelvi dove anch’egli era stato, l’ho attraversata a piedi in tre giorni con un amico, dormivamo in tenda e ha sempre piovuto eppure ho un buon ricordo di quella vacanza, ha parole di apprezzamento per la sua città, ci vado spesso per puro piacere, amo salire verso i Cappuccini e osservare le sue impareggiabili piazze nella luce della sera. In ogni sua affermazione si intravvede un retroscena che lui lascia vago sullo sfondo. Poi, come ci riflettesse solo in quel momento, fa notare come loro due abbiano compiuto un percorso simile ma inverso, lei dal Piemonte è risalito in Svizzera, io dalla Svizzera sono sceso in Italia. E ora ci incontriamo qui, come a chiudere un cerchio. Sulle ultime parole Konrad assume un tono più serio, quasi solenne, e per qualche istante fissa negli occhi l’uomo che ha di fronte, forse per vedere se nel suo sguardo s’accende la scintilla. Sono brevi attimi. Quindi, di fronte all’impassibilità dell’altro, riprende i modi giovialii e si sofferma sull’episodio del guasto al treno che l’ha condotto su questo lago di cui ignorava l’esistenza.

Il ciclista lo ascolta con una specie di indulgenza e un minimo di vanità per essere al centro di tanto interesse. I suoi gusti sono altri, più tradizionali, ma in fondo non c’è nulla di diverso da quando è lui a cercare di suscitare l’interesse di una donna: si tratta sempre del gioco sottile di una momentanea seduzione, senza una reale intenzione di andare oltre. Lo svizzero è un buon incassatore, sorride divertito, parla d’altro senza però rinunciare a lanciare ancora qualche amo, forse più per abitudine che per convinzione. In ogni caso il ciclista non abbocca.

E poi per lui è il momento di riprendere i pedali, si alza quasi dispiaciuto di interrompere quella schermaglia fatta di vaghe allusioni e di taciti rifiuti.

Mentre s’è ormai lasciato alle spalle il lago ripensa al loro incontro, all’originalità di quell’uomo, non tanto alla sua supposta omosessualità quanto alla gioia di vivere, di muoversi con eleganza in equilibrio sul filo della vita, che trapelava da ogni sua parola. Konrad al momento del commiato gli aveva chiesto il permesso di pagare le sue consumazioni, più che un omaggio un semplice modo perché lei qualche volta si ricordi di me.

Il ciclista sa che il modo migliore per ricordare una persona è scriverne. E allora mentre pedala già comincia a elaborare un possibile racconto.

 
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