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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  e noi lì a far le facce truci senza essere credibili, di massimolegnani 20/11/2018
 
e noi lì a far le facce truci senza essere credibili

di massimolegnani



È piena notte quando improvvisamente la stanza si illumina a giorno. Nonostante la luce accecante del lampadario mi sveglio a fatica, dormivo così bene, e meritatamente! Mauri è seduto sul letto, in silenzio, forse non ha digerito la cena o ha pensieri che gli tolgono il sonno. Non mi interessa, lo stramaledico e gli biascico di spegnere. La sua risposta è laconica: non l’ho accesa io.

Inizia così la nostra notte da incubo, che dopo anni ancora la ricordo come fosse ieri. Pensare che fino a quel momento tutto era filato liscio come in sogno, un sole caldo a benedire il nostro primo viaggio a pedali in terra di Germania, una gasthaus (pensione familiare) dall’aspetto tipicamente bavarese, tutta gerani e balconi in legno, apparsa come d’incanto sulla riva di un laghetto proprio quando incominciamo ad esser stanchi. Sulla facciata uno striscione che sembra scritto per noi, benvenuti ciclisti! A completare il quadretto idilliaco un matrimonio di campagna in pieno svolgimento. Si sa, fossimo stati in Italia avremmo avuto da ridire per la baldoria senza fine, i cori alticci, la birra a fiumi, gli ottoni a tutto fiato, ma in Baviera troviamo ogni cosa pittoresca e l’entusiasmo ci rende tolleranti al gran baccano. Dopo cena saliamo in camera e quasi subito dormiamo come sassi, cullati dai cori e dai tromboni. Fino al brusco risveglio. Di malavoglia mi alzo, controllo la stanza, dai, non c’è nessuno, chiunque fosse, capito l’errore, se n’è andato. Questa volta chiudo a chiave la porta, spengo la luce e torno a letto. Mauri riaccende. È sempre seduto sul letto, immobile come un bonzo: “chiunqueè nel nostro bagno!

Apro la porta del bagno e in effetti seduto sulla tazza c’è un ragazzone, completamente nudo, in una posa tanto meditativa che manco alza gli occhi su di me. Richiudo e mi consulto con Mauri. Scendiamo alla reception ma non c’è nessuno, a dir la verità non c’è nemmeno la reception, le pratiche all’arrivo le avevamo sbrigate al bancone del bar. Tutta la pensione è immersa nel buio e nel silenzio, dovremo cavarcela da soli. Torniamo in camera e decidiamo un’azione di forza, lo prendiamo sotto le ascelle e lo scaraventiamo fuori, d’accordo?, ci diciamo l’un l’altro per farci coraggio. Irrompiamo in bagno gridando rauss, schnell, il tipo ci guarda con l’occhio spento dell’ubriaco e noi lì a far le facce truci senza nemmeno crederci. Poi il ragazzotto si alza, è una montagna di muscoli che puzza di birra e grappa da tutti i pori e, per quanto ubriaco, gli basta appoggiarci una mano ciascuno sul torace per buttarci fuori in un gesto solo.

Speriamo almeno che si sbrighi, è il commento di Mauri, sempre pragmatico. Io, più sanguigno, picchio sulla porta gridando un improbabile “Polizei, polizei” a cui fa eco il crucco con Uno momento, okkupato! Insomma, alle nostre quattro parole in tedesco lui ci ha risposto in italiano, come avrà capito la nostra nazionalità? Spero non dal nostro atteggiamento rinunciatario. Ma che altro possiamo fare se non aspettare? Finalmente sentiamo il rumore dello sciacquone e mentre lui esce noi ci precipitiamo dentro e restiamo inorriditi: lo sciacquone era solo un suo riflesso condizionato, con ogni evidenza ha usato il bidet come tazza e adesso i suoi resti sono lì, maleodoranti, in bella vista.

Mauri che facciamo?

Lascia perdere, ci pensiamo domattina.

Facciamo per tornare a dormire ma il nostro letto è occupato dal tedescotto che ronfa beatamente. Questo è troppo anche per due sprovveduti come noi. Lo ribaltiamo letteralmente giù dal letto e la botta sul pavimento lo rinsavisce. Si guarda intorno senza capire dove si trovi, ci fissa come non ci avesse mai visto e borbottando parole incomprensibili infila l’uscio a passo incerto e se ne va.

Ma io non riesco a prendere sonno, un pensiero fisso mi mette ansia. Scrollo il mio amico:

Mauri, ma secondo te la padrona ci crederà che quella nel bidet non è opera nostra?

Neanche se glielo giuriamo sul santo patrono dei ciclisti.

Così ci alziamo per l’ennesima volta e vincendo lo schifo cancelliamo ogni traccia delle malefatte altrui. E ci serpeggia pure un atavico senso d’inferiorità nei confronti dei tedeschi, come se noi per primi ci sentissimo in qualche modo responsabili dell’accaduto.

Intanto la notte è andata, dormiamo un’oretta striminzita e poi come due zombie ci precipitiamo a fare colazione che tassativamente viene servita solo fino alle nove. Al momento di pagare raccontiamo alla padrona quanto è successo nella notte. Lei non si scompone e taglia corto: sarà stato qualche ospite straniero ubriaco.

Mentre pedaliamo di malavoglia in un paesaggio che non ci coinvolge più, mi assale un dubbio:

Mauri, cosa avrà voluto dire la signora con quelle parole? C’erano altri stranieri oltre a noi nella gasthaus?

Nemmeno l’ombra!

Ancora due giri di pedale e buco la ruota posteriore a coronare una giornata indimenticabile.



 
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