Solitudini
di
Grazia Giordani
Alzò
gli occhi dal libro su cui li aveva posati troppo a lungo e lo
sguardo le si fece torbido, come se un reticolo sottile si fosse
frapposto fra lei e la realtà esterna, già
preannunciato dal baluginare delle righe, ormai fattesi fluttuanti
nella pagina. Vide la sua immagine riflessa nella grande specchiera
di fronte al divano, avvertendo un’estraneità con la
consapevolezza del suo abituale aspetto.
«Sono
irrimediabilmente una donna di mezza età – si disse -
ravviandosi i capelli scomposti. Chissà quante donne sarebbero
più che appagate al posto mio: un matrimonio sereno che fila
sulle rotaie di un sonnolento tran-tran; un figlio in procinto di
avviarsi a una carriera solidamente borghese; nessuna malattia; una
casa confortevole; un treno di vita decoroso, senza lussi, ma senza
privazioni.
«Sono incontentabile. Pur vivendo in un paese
fasciato dentro una provinciale ovvietà, perché avverto
inquietudine? Voglia di cieli aperti? Perché faccio sogni
ricorrenti, la notte, di battere un piede a terra e, per magia, di
volare, trasportata da un vento dolce che mi carezza la pelle? E
queste carezze si fanno insinuanti, percorrono ovunque il mio corpo,
tanto che, al risveglio, avverto imbarazzo e un vago senso di
trasgressione che mi stupisce e vivifica. Attendo quelle carezze con
impaurita gioia, come una compensazione, un mio segreto diritto,
qualcosa che fisicamente mi è dovuto.
«Sciocchezze!
Vaneggiamenti! Rigurgiti di una fisicità che sarebbe bene
tenere a bada, che il giorno si assopiscono e la notte si infiammano,
sornioni abitatori del mio inconscio.
«Meglio accendere il
computer, correggere l’ultima recensione, prima di inviarla al
giornale. Meglio agire, operare, piuttosto di chiudermi in
solipsistiche e sterili fantasie».
Nella home page le
apparve il portale di un sito che non conosceva. Forse il figlio,
facendo ricerche, aveva spostato qualcosa,
navigando.
«InfiniteStorie» si chiamava questo sito
di letteratura.
Un nome dal simbolismo accattivante, pieno di
promesse.
Cliccò, si registrò con lo pseudonim di
Helga, un nome che già le apparteneva; così si era
chiamata infatti la protagonista di un suo racconto - L’eco
della montagna - pubblicato con successo. Vagò nel sito,
leggera, come se esplorasse un paese felice. Solo il sibilo della
pentola a pressione sul fuoco seppe distoglierla. Meno male, stava
quasi per bruciare una zuppa di verdure, rischiando il disappunto dei
familiari per le sue annoiate propensioni domestiche.
Molto
meglio scrivere, quello era il suo mestiere.
Entrò in un
elenco di annunci, grande appello di amicizie letterarie.
Lo
scorse interessata, afferrata all’improvviso da
un’elettrizzante premonizione.
«Salve a tutti –
si leggeva nella quarantunesima postazione – Sono un amante dei
grandi classici del romanzo. Come ogni lettore, ho preso delle
autentiche cotte per qualche scrittore, mentre invece qualche altro
grande o presunto tale della letteratura, mi ha deluso. Proust ha
detto: “Ogni lettore, quando legge, è lettore di se
stesso”. Aveva ragione. Mi piacerebbe parlare con qualcuno
delle reciproche passioni letterarie. Vi va ? Ciao e buona lettura a
tutti. Silvano».
Questo annuncio aveva un’impressionante
coincidenza di caratteristiche positive, ai suoi occhi: un lessico
caldo costellato di parole amorose quali “amante” ,
“passioni” “cotte”e poi nulla di burbanzoso,
altisonante, spocchioso, poiché sapeva parlare anche di
“delusioni”. Inoltre era un cultore di Proust, e non
maniaco solo delle novità, poiché continuava a stimare
i classici, e non imponeva con tracotanza la sua richiesta («Vi
va?») e aveva un nome agreste, profumato di brughiera, di
frondosi boschi; sapeva di passeggiate tranquille, la mano nella
mano, parlando di libri.
Non era donna dalle lunghe attese,
seppur riflessiva, quando le pareva il caso di dover
riflettere.
Rispose d’acchito all’annuncio.
Iniziarono
giorni di delizie.
Gli amori letterari comuni si intrecciavano
nel loro cielo virtuale con arioso battito d’ali; era un
rimando continuo dalla Russia ( «Anche Dostoevskij, e Gogol? E
Cecov?») alla Svezia (« ”L’oratorio di
Natale”di Goran Tunstrom e Selma Lagerloff con la sua “Saga
di Gosta Berling”), all’adorata Vecchia Inghilterra, con
escursioni dentro le pagine di Thackeray e di Dickens. E fu proprio a
proposito del grande Charles, che presero avvio le suggestive
passeggiate letterarie descritte con sapiente brio dallo spiritoso
interlocutore.
Silvano la portò anche nella Londra di
Virginia Woolf,, con Mrs.Dalloway, quale guida d’eccezione; la
condusse in una brumosa Milano con tappe “agre” nella
vita di Bianciardi. Le fece conoscere un vasto gruppo di autori
mitteleuropei, col denominatore comune di “misconosciuti”,
perdenti, non per mancanza di qualità, ma per la discrezione
con cui erano approdati nel pianeta letterario, senza baccano,
mettendo sempre la sordina al pedale de loro strumento.
Questo
era stato anche il destino dell’ ”idolo” di Silvano
che si era riconosciuto in “Un amore” di Dino Buzzati.
Storia di una sofferenza patita con consapevole dignità., con
ironica classe.
I protagonisti di «Solitudine» che
iniziavano, col progredire del loro scambio di idee e pensieri ad
essere sempre meno soli, si rivelarono anche un piccolo segreto
telematico: Il sito di Silvano – esperto del ramo per mestiere
- con un suggestivo percorso letterario inglese da consigliare ai
lettori; quello di Grazia, sintesi del suo cammino di scrittrice e
giornalista di provincia.
Immaginarono tè virtuali bevuti
insieme, riscaldati dal fuoco del caminetto.
Grazia cominciò
ad immalinconirsi, quando lui la salutava per tornare al lavoro e
credeva di vedere l’impronta del suo corpo rimasta impressa nei
cuscini della poltrona, e ripensava alla piccola briciola di biscotto
rimastagli ferma sul labbro. Come avrebbe voluto rimuovergliela con
la punta della sua stessa lingua…! E questo non era il solo
pensiero impudico che le suscitava il suo interlocutore virtuale.
Le
carezze della notte non erano più originate dalla brezza
sognata. Pensava alle mani di lui, mani gentili, mani dolci che la
facevano star bene.
«La realtà supera sempre la
fantasia – le scrisse lui in un pomeriggio ottobrino –.
Mi sembravi un tipo interessante, ma così mi travolgi».
A cui lei rispose: «Se fossimo dentro le pagine di un romanzo
ottocentesco, direi (facendo vibrare le lunghe ciglia, come usava
all’epoca; ora le donne non ricorrono più a questi
femminili artifici) – direi – “Voi mi lusingate,
signore!”»
Grazia gli inviò il suo racconto
«La fotografia».
Che vi faremo leggere a parte, se a
voi lettori potesse interessare, ai fini di meglio comprendere questa
narrazione.
Scattò la molla di un momento fatale nella
loro storia.
Silvano le scrisse: «…E poi il legame
virtuale tra i due protagonisti mi tocca, anzi ci tocca da vicino.
Non credi? Finora non avevo mai avuto un rapporto virtuale così
intenso con un’altra persona. Ne avevo letto sui giornali, ma
mi sembravano cose per ragazzi fanatici del computer. Mi ero convinto
che Internet servisse a tutto fuorché a fare nuove conoscenze.
Serie intendo. Questa nostra intesa, nata del tutto casualmente, mi
stupisce e mi sorprende perché non so darle una spiegazione
razionale. Comunque mi incuriosisce. Dove andremo a parare?»
Era
giunto il momento di proporre a Silvano la scrittura di una loro
storia a quattro mani, un loro romanzo nel romanzo.
A lui
spettava l’onore (o l’onere?) dell’incipit.
Lei
adorava quel suo stile brioso, volutamente minimalista, in perfetta
sintonia con la sua assenza di autocompiacimenti ed arroganza.
Lo
trovava adorabile, semplicemente.
Ormai sentiva l’azzurro
assoluto dello sguardo di lui confondersi - non proprio liquefarsi –
dentro la liquirizia delle sue pupille brune (Oddio, che frase
barocca e démodée, però rende l’idea,
anche se non è il trionfo del buongusto! Lui così
essenziale, non scriverebbe mai una “sbrodolatura”
simile…)
Silvano accettò.
Passarono
giorni.
Mancavano pochi minuti all’arrivo del suo primo
capitolo.
Con mani tremanti, Grazia accese il computer.
Outlook
sembrava inceppato, non si connetteva.
Aveva dimenticato di
inserire la spina.
Era eccitata.
Volava alto nei cieli del
virtuale, consapevole che lui era un uomo in carne ed ossa,
fortunatamente “senza pancia”, così si era
descritto.
Finalmente comparve il suo indirizzo e-mail.
Bastava
premere.
Ciccarci sopra 2volte2.
Ecco: A quattro
mani brillava nitido nel mezzo del foglio.
www.graziagiordani.it
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