La
migrazione sovversiva delle rondini
di
massimolegnani
L’argomento
era nato in sordina sui social da parte di un qualche ideologo del
nuovo corso, come possiamo tollerare che le rondini vadano e
tornino dall’Africa liberamente?, aveva buttato lì
in una serata di dibattiti fiacchi. Gli avevano risposto alcuni
nostalgici del Pascoli, citando abbastanza a sproposito alcuni versi
del 10 agosto. L’interesse per il tema sembrò destinato
ad esaurirsi rapidamente, ma dopo qualche giorno l’intervento
di un ornitologo bisognoso di notorietà riaccese la polemica:
dobbiamo e siamo in grado di allevare una nuova specie autoctona
di rondini che, opportunamente modificate geneticamente o
condizionate a forza nel comportamento, non sentano più la
necessità di oltrepassare il confine meridionale della
Sicilia. Le sue parole fecero scalpore nel mondo accademico e
irundologi di fama sottolinearono la scarsa consistenza scientifica
della proposta, ma inaspettatamente l’idea prese piede tra gli
abituali frequentatori della rete, chi inneggiava alla nuova razza,
chi si opponeva al progetto perché i cieli devono restare
liberi, chi paventava nell’andare e venire delle rondini un
simbolico e pericoloso atteggiamento antigovernativo. E proprio il
Governo, che aveva fatto dell’efficienza e della sensibilità
ai voleri popolari i suoi cavalli di battaglia, decise di intervenire
senza frapporre indugi. Il ministro della salute nominò
l’ornitologo responsabile di una commissione veterinaria che
studiasse la fattibilità e i benefici di immagine e di
sostanza del progetto, i costi qualunque essi fossero sarebbero stati
ripianati dal ministro dell’economia a sua totale discrezione.
Vi fu un breve dibattito parlamentare se fosse più opportuno
impedire alle rondine di emigrare in Africa o vietare il loro rientro
in patria. Le fiacche forze di opposizione fecero del blando
ostruzionismo presentando una serie di emendamenti che in ogni caso
non intaccavano la sostanza del provvedimento. Ad ogni buon conto il
Governo pose la questione di fiducia e il decreto legge passò
a larga maggioranza sebbene fosse quanto mai vago nei contenuti. In
pratica, sotto la generica formulazione di una nuova regolamentazione
dei flussi migratori degli uccelli, si demandava al Governo la sua
attuazione secondo criteri ancora da stabilire.
Il
ministro degli Interni lanciò l’hastag #cieli chiusi,
nidi aperti, e, visto lo strepitoso successo dell’iniziativa
(oltre un milione di condivisioni in pochi giorni), fece erigere
nell’entroterra siciliano a scopo sperimentale, disse,
una serie di reti metalliche alte un centinaio di metri lungo le
rotte di migrazione. Il ministro stesso si presentò in
televisione per fronteggiare certi malumori buonisti che rischiavano
di contagiare la parte sana del Paese e in un accorato discorso
difese le proprie scelte definendo il sistema di reti un’opera
necessaria di pacifica dissuasione, in attesa che si sviluppasse a
pieno il programma di ripopolamento autoctono intensivo ( #vogliamo
rondini italiane anche a gennaio.)
Il
mese di maggio fu un’ecatombe per le rondini che rientravano in
Italia: le più restarono impigliate nelle reti e le altre già
provate dal lungo viaggio s’inabissarono in mare nel disperato
tentativo di riguadagnare le coste africane. Volontari di GreenPeace
e di altre associazioni non governative si calarono da elicotteri o
si paracadutarono da aerei da turismo per liberare quante più
rondini dalle recinzioni, ma furono ben presto costretti a desistere
per l’intervento della nostra aviazione militare.
Mentre
le rondini morivano a migliaia, le massime autorità dello
Stato accolsero a Ciampino il cargo militare che portava un centinaio
di coppie selezionate di volatili destinati alla riproduzione
intensiva e controllata. Il presidente del consiglio alzò una
gabbietta in favore di telecamere, ecco la nuova razza,
esclamò con una certa prosopopea. Quell’estate i nidi
sotto le grondaie restarono vuoti e a sera non s’udivano gli
stridii del volo collettivo attorno ai campanili. Una piccola
desolazione per la gente comune, ma in televisione il ministro della
sanità assicurò che gli scienziati stavano svolgendo un
lavoro febbrile e che presto si sarebbero visti i primi confortanti
risultati.
L’ornitologo
che era stato messo a capo della commissione resistette fino ad
ottobre prima di ammettere davanti a una ristretta rappresentanza di
ministri che i lavori erano a un punto morto, quello iniziale. Messo
alle strette confessò di non avere la più pallida idea
di come si operasse una manipolazione genetica, era stato avventato
nelle affermazioni sui social, ma sapete bene com’è
bisogna usare l’iperbole per mettere a tacere gli avversari di
tastiera.
Del
progetto rondini italiane anche a gennaio non si parlò
più, anzi vennero diffusi studi preliminari secondo i quali le
rondini importavano dall’Africa virus sconosciuti e nuove
malattie, potenzialmente trasmissibili anche all’uomo. Non vi
erano ancora evidenze scientifiche a sostegno di tali teorie ma bastò
che queste venissero divulgate per far sorgere in una parte, non
grande, della popolazione un’avversione per quegli uccelli un
tempo tanto amati.
Ignare
di tutto ciò e spinte unicamente dall’istinto, la
primavera successiva le rondini ripresero la loro consueta
migrazione. Ma questa volta, forse memori della tragedia dell’anno
precedente, aggirarono la Sicilia dove ancora esistevano le orribili
reti e fecero rotta sulla Sardegna e da lì dopo una sosta di
pochi giorni ripresero il volo per diffondersi su tutto il territorio
nazionale.
Curiosamente
il loro ritorno, salutato festosamente dalla maggioranza delle
persone, coincise con un crollo dei consensi verso il Governo in
carica.
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