Nessuna
più
(Vilma,
parlandone da diva)
di
massimolegnani
Nessuna
più in ambulatorio a far la diva involontaria, che lei calcava
il pavimento come fosse un palcoscenico facendo di se stessa un
personaggio sfaccettato, un po’ macchietta per ridere con noi,
un po’ convinta di avere un ruolo tragico. Ma mai diva del
muto, che lei non era capace di tacere, probabilmente parlava anche
nel sonno. Incredibilmente, nonostante il suo profluvio di parole e
di stranezze annesse e sconnesse, l’ambulatorio non aveva mai
funzionato così bene come da quando ne era lei la
responsabile.
Nessuna
più con quel nome scriteriato, Vilma, (ma senta, non
dovrebbe esserci la W? Ma cosa vuole che sapessero i miei genitori e
poi mica c’era la Vdoppia a quei tempi) e con quella
cadenza veneta, una cantilena inconfondibile che sembrava appena
sbarcata in Piemonte e invece era qui da tre generazioni.
Nessuna
più a dire a proposito e sproposito quella parola bizzarra,
GIOIOSO!, al bambino che appena devastato dal prelievo
strabuzzava gli occhi e chiedeva in perfetto piemontese ma che
minchia dice?. E quell’altra parola ancora più
stramba, MARTIRIO, inizialmente riferita al proprio marito, ma
poi estesa ad ogni uomo che avesse una donna a fianco, ehi lei,
martirio, mi dia una mano con suo figlio.
Nessuna
più a farmi quei discorsi così lineari, tutti a
spizzichi, smozzichi e ammicchi che, arrivati in fondo, ancora non
sapevo di che cosa stessimo parlando.
Ha
visto? mi chiedeva facendo un cenno con il mento a indicare
chissà cosa.
“Visto
cosa, Vilma?”
Dee
dotore, cossa le avevo dito?
Che
dito, il medio?
Ela!!
ce semo capiti, noo? E dava una zoccolata di rimarco al pavimento
Ma
ela chi? la mamma del bambino appena uscito?, azzardavo
annaspando.
Ela,
caspita!! Non mi faccia dire.
E
agitava i fogli che aveva in mano, o la siringa appena usata o il
bicchiere con l’urina che temevo lo bevesse in un momento di
eccessivo fervore oratorio. Ma intanto non diceva, nel senso che,
senza confermare o negare nulla, andava avanti con mezze parole e
allusioni incomprensibili, e girava la testa a destra e a manca più
rapida di uno struzzo per essere sicura che nessuno ascoltasse.
Nemmeno io, in verità, ascoltavo più.
Disemolo
chiaro, dotore, non se può, ecco! È d’accordo?
Come
no, Vilma!, assentivo stremato, e non capivo se alludesse al
Direttore Generale o a Mario il portinaio, senza tralasciare nessuna
delle figure intermedie tra i due.
Ma,
soprattutto, nessuna più ad accendere il ventilatore a
soffitto, che Vilma, in crisi di calore anche a gennaio, lo attaccava
appena entrava in servizio. E io lavoravo con un’aria siberiana
a gelarmi la pelata.
Vilma,
non potrebbe spegnere il ventilatore una mezz’ora? Muoio di
freddo.
No,
dotore, ghe xe aria viziata.
E
smanettava implacabile sull’interruttore a mettere la velocità
al massimo.
Io
sacramentavo a bassa voce ma, pur ribollendo di rabbia come un
facocero appena impallinato, non osavo insistere per timore che lei
spalancasse pure le finestre
Insomma,
nessuna più farà girare le pale come Vilma!
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