Alba
e Walter, una coppia speciale
di
Piera Maria Chessa
Eleonora
camminava per le vie del centro storico della sua città, era
totalmente concentrata su come organizzare quella nuova giornata, che
già si preannunciava densa di impegni, quando, per puro caso,
lo venne a sapere: Michele, un ragazzo fragile e, a modo suo,
affettuoso, che conosceva bene ormai da anni, da pochi giorni era
stato rinchiuso in carcere per l’ennesima volta.
Aveva
sentito, poco distante da lei, la voce pacata di una donna che
diceva:” Buongiorno, Eleonora, come sta? Mi riconosce?”
“Buon
giorno, Alba, come no, non potrei dimenticarla!”
Era in
compagnia di suo marito Walter, un signore che nel passato aveva
incontrato parecchie volte. Tanti anni addietro, infatti, avevano
avuto modo di frequentarsi grazie all’amicizia nata a scuola
tra i loro figli. Ci si incontrava quasi sempre all’uscita
quando i genitori, a fine mattinata, andavano a prenderli, ma anche
qualche anno dopo, al campo sportivo, dove i ragazzi, già più
grandi, si allenavano facendo parte entrambi di una piccola squadra
di calcio.
Alba e Walter erano due splendide persone, ma quel
che aggiungeva valore alle loro qualità era la scelta che
avevano fatto di dedicarsi, sebbene avessero già due figli, ad
altri ragazzi che avevano preso in affidamento. Ragazzi non semplici,
con problemi di ogni genere, ma loro non si erano mai tirati
indietro.
In questo modo nella loro casa, per fortuna ampia e
accogliente, tanti erano vissuti per lunghi periodi, talvolta per
anni; alcuni erano stati poi adottati e avevano trovato una nuova
famiglia, altri, ormai maggiorenni, erano diventati autonomi e si
erano inseriti nel mondo del lavoro.
Molti, a distanza di anni,
ricordavano ancora, con affetto e gratitudine, quella coppia speciale
che aveva spalancato per loro la porta di casa.
L’ultima
esperienza vissuta da Alba e Walter fu tuttavia diversa dalle
precedenti e anche causa di tanta amarezza. Fu appunto durante questa
esperienza che Eleonora ebbe modo di conoscerli.
Suo figlio
Simone frequentava la scuola di Roberto, uno dei loro figli, e fu in
questo contesto che i due ragazzi incominciarono a frequentarsi. Una
mattina, ad anno scolastico già avviato, insieme a Roberto
arrivò in classe un nuovo compagno, si chiamava
Michele.
Veniva da un’altra città ed era stato,
purtroppo, allontanato dai genitori, e subito dopo preso in
affidamento da Alba e Walter.
Fu così che il ragazzo
entrò a far parte della loro famiglia, dove ebbe modo di
conoscere Roberto e Sara, i loro figli, i quali, educati
all’accoglienza, con molta spontaneità lo accolsero come
un fratello.
Quanti
anni erano ormai passati! I loro ragazzi, e lo stesso Michele, erano
diventati grandi, ma quando lei lo conobbe frequentavano tutti e tre
il primo anno della scuola primaria. Avevano sei, sette anni, e si
sentivano già dei piccoli uomini. Li ricordava bene i compagni
di suo figlio, le amiche, e ricordava, forse più di tutti,
Michele.
Quel bambino l’aveva colpita fin dai primi
giorni, e da subito aveva provato per lui una tenerezza speciale.
Sapeva ben poco, ma quel poco era sufficiente.
Era un bambino
magro, già alto, forse di qualche mese più grande
rispetto ai compagni, aveva i capelli neri e la carnagione chiara. Ne
ricordava lo sguardo, spesso basso, era diffidente e suscettibile,
sempre allerta, difficile poter scherzare con lui. Eppure si
percepiva proprio in quello sguardo una maldestra richiesta di
affetto.
Quante volte Eleonora aveva riflettuto su questo fatto,
perché di solito i bambini desiderano essere coccolati; più
tardi no, perché si sentono grandi e si vergognano davanti ai
compagni.
Anche in classe, questo glielo diceva sempre suo
figlio Simone, Michele se ne stava in disparte, raramente giocava con
i compagni nonostante loro cercassero di coinvolgerlo, e in realtà
soltanto con Simone e Roberto abbassava la guardia e riusciva a
rilassarsi.
Nei primi tempi capitava spesso, tutte notizie avute
dal figlio, che improvvisamente, durante le ore di lezione, si
nascondesse sotto il banco e si mettesse a ululare, proprio come
fanno i lupi. Un modo forse per attirare l’attenzione su di sè,
per mettere in chiaro che lui c’era ed esisteva, per provocare,
per emergere rispetto agli altri, molto più motivati di lui
nello studio.
Erano quelli momenti piuttosto difficili, i
compagni, seppure stupiti dai suoi comportamenti, ridevano, e lui,
sentendosi al centro dell’ attenzione, rincarava la dose
emettendo dei suoni così acuti e penetranti che mettevano a
dura prova la pazienza degli insegnanti.
Loro conoscevano bene
la situazione difficile di Michele, ma a fine mattinata, quando i
genitori all’ uscita li incontravano, percepivano una grande
stanchezza sui loro volti. Eppure la pazienza era tanta. Eleonora li
conosceva tutti, li apprezzava nelle loro diversità, e a
distanza di anni li ricordava con stima.
Col
passare del tempo, per fortuna Michele mostrò segni di
miglioramento, grazie anche a Loredana, un’insegnante di
sostegno che lo affiancava durante il lavoro. Lei non si scoraggiò
mai davanti alla sua aggressività, alle prese di posizione, ai
suoi no ad ogni cosa, a prescindere da tutto, giusto per opporsi.
Gli
ultimi due anni della scuola primaria furono decisamente i migliori;
pur lavorando di malavoglia, un po’ ricorrendo alla fermezza,
un po’ alla dolcezza, Loredana riuscì ad ottenere da
Michele risultati discreti. Cercava di valorizzarlo, mostrava
apprezzamento anche davanti al più piccolo successo, quando lo
vedeva particolarmente stanco e demotivato, lo portava fuori
dall’aula, lo lasciava sfogare e poi rientravano per riprendere
il lavoro.
Ma il punto di forza in questa situazione difficile
fu soprattutto il lavoro fatto insieme ad Alba e Walter. Loro non era
stati certo a guardare in quei lunghi cinque anni di scuola
primaria.
Fin dal primo anno avevano instaurato un rapporto di
apprezzamento reciproco con tutti gli insegnanti, in particolare con
Loredana, che lavorava assiduamente con Michele. Con lei si
scambiavano lunghe e proficue telefonate, e si incontravano a scuola
durante le riunioni di classe e i colloqui.
Decidevano insieme
le strategie, cercando di mostrarsi coerenti nei divieti e in quelli
che tra loro chiamavano “apparenti cedimenti”. Il lasciar
perdere insomma alcune cose, soprattutto davanti alle crisi di
aggressività avevano constatato che in quei momenti, sia a
scuola che a casa, era inutile, se non dannoso, insistere.
La
vita in famiglia con Alba e Walter procedeva in modo alterno. I primi
anni, esattamente come a scuola, tutto appariva molto precario, si
viveva alla giornata, giornate sì e giornate no, come diceva
pazientemente Walter. Talvolta andava bene, Michele era capace di
gesti anche teneri, apparentemente bruschi, ma che sottendevano un
affetto che col passare del tempo si andava approfondendo. Altre
volte tutto diventava faticoso e richiedeva un grande autocontrollo
per riuscire a mantenere una certa calma. Ma Alba e Walter non si
pentirono mai, e se ebbero dei cedimenti riuscirono a controllarli
molto bene.
Alba era per Michele la confidente, la mamma
paziente che non aveva avuto fino a sette anni, la persona che la
sera, prima di andare a dormire, riusciva a rubargli qualche bacio,
ma anche la brava cuoca che preparava per lui e per i suoi ragazzi le
pietanze che preferivano, ed era sempre lei che da piccolo lo
consolava dopo una caduta, e che con pazienza medicava le
ferite.
Walter era il compagno durante le escursioni che
facevano a piedi o in bicicletta, al mare o in montagna, era il punto
di riferimento quando si trattava di aggiustare la bicicletta o altri
oggetti a cui Michele teneva in modo particolare, era l’insegnante
privato che cercava con pazienza di insegnargli la matematica, che lo
ascoltava quando doveva ripetere una poesia o un paragrafo di storia
o geografia.
Eleonora conosceva bene la straordinarietà
di tutto ciò che Alba e Walter avevano fatto per Michele,
l’affetto e la dedizione che gli avevano donato, nessuno, come
loro, aveva fatto persino l’impossibile.
Diversi
anni di vita insieme. Era arrivata anche l’adolescenza, una
rivoluzione per tutti i ragazzi, molto di più per Michele. I
tre anni di scuola secondaria furono difficilissimi. Ebbe dei buoni
insegnanti, lo trattarono con rispetto e delicatezza, ma non fu
sufficiente, lui non capì e forse non da tutti venne capito.
Si scontrò talvolta con alcuni di loro, ma soprattutto con i
compagni. I tre anni si conclusero con fatica.
E fu in
quell’ultimo anno di scuola, non ne volle più sapere di
proseguire gli studi, che incominciarono i primi furti, piccole cose
fatte per mostrare le proprie capacità, accompagnate da
atteggiamenti di sfida sempre più arroganti.
Walter e
Alba cercarono in ogni modo di aiutarlo, ma tutto fu vano.
Nel
frattempo era accaduto qualcosa di molto importante. Michele, dopo
tanti anni, era potuto rientrare in famiglia, nella sua famiglia
d’origine. Aveva quindici anni, una vita davanti, la
possibilità di una rinascita.
Invece, dopo qualche mese,
Alba venne a sapere dalla madre, con la quale i rapporti non si erano
mai del tutto interrotti, che il figlio si trovava in un carcere
minorile, perché coinvolto in un furto di una certa entità.
Da
allora questi si susseguirono con una costanza impressionante, fino
al giorno in cui Eleonora incontrò Alba e Walter che le
raccontarono tutto.
Era sinceramente dispiaciuta per Michele, ma
forse ancora di più per loro. Com’era stato possibile,
anni di vita dedicati a lui sembravano buttati alle ortiche.
E
fu la loro amarezza a farle ancora più male quando le dissero:
“Abbiamo fatto di tutto, tutto ciò che per noi era
possibile, non ce l’abbiamo fatta, abbiamo fallito. Ora andiamo
avanti negli anni, non siamo così giovani, non prenderemo più
nessun ragazzo in affidamento. Ci manca l’entusiasmo di un
tempo, e quest’esperienza ci ha provato molto; su Michele
avevamo veramente investito, non era un cattivo ragazzo, e non lo è
neanche oggi, ne siamo certi, ci chiediamo tante volte dove abbiamo
sbagliato, ma non troviamo risposta. Talvolta pensiamo di andarlo a
trovare in carcere, finchè era minorenne lo abbiamo fatto, ora
non siamo più così certi che sia una buona decisione;
se quel giorno arriverà ci lasceremo guidare dall’istinto,
ma soprattutto dall’affetto che ancora proviamo per lui.”.
(Dalla
raccolta
“Sguardi di donne”)
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