La
luna
di
Franca Canapini
La
stanza ne era bagnata. Ne percorreva i raggi adagiati sul pavimento.
Diventava spettrale anche lui. Lei era là, oltre i vetri,
oltre i tetti, aperta in cielo, lontana eppure vicinissima.
Sfolgorante. Giocava con gli stracci delle nubi. Anche lui si sentiva
straccio di nube, preda della sua ambiguità.
Poi
si addensò sulle finestre, su ogni possibile apertura e dilagò
incontrollabile, a fiotti, in tutta la casa. Inarrestabile, purissima
luce che irrorava, penetrava, stordiva. E nella luce apparvero
margherite di sangue, tulipani violetti, scie di stelle in
spegnimento rapido. L’aria ondeggiava feroce.
Lo
squarcio. La visione.
Il
piccolo giocherellava con i fili d’erba. Più in là
la madre sorvegliava il gregge. Sei uccelli neri dal collo rosso
sbucarono dall’orizzonte in formazione, ingrandendosi,
abbassandosi sul paesaggio.
L’attrito,
il rombare dei motori, i primi boati, i fuochi, le nuvole nere e lei
che scappa e lo stringe al seno. Cade in ginocchio, si rialza; un
nuovo scoppio, una nuova caduta. Le manine sul suo seno, la testolina
che rimbalza sulla sua spalla; gli scoppi sempre più vicini;
la polvere, le buche, le pecore in fuga. L’affanno del respiro.
Le scarpine che cadono a terra. Le sue mani che lo stringono da
fargli male. Profumo di polvere e latte. Schizzi di terra. Le chiome
degli alberi stroncate dalla furia dell’aria. Via via. Ora al
galoppo, insieme agli animali verso il rifugio.
Il
tunnel nel tufo. Il silenzio. Lo spavento dell’aria. La mano
della madre che gli carezza i piedini. Il battito furente del cuore.
Il viso dolcissimo della madre. Il bacio. Mamma!
Dov’era
la mamma? Era solo nella casa che si stava spegnendo. Lo specchio
dell’andito lo rifletteva: un uomo anziano. Forse era stata
primavera. Forse il profumo dei fiori.
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