Gianna,
la gattara
di
Piera Maria Chessa
La
chiamavano così, ma in modo bonario, perché era una
persona amabile e discreta che difficilmente sarebbe potuta entrare
in contrasto con qualcuno. La sua età non era chiara,
probabilmente stava tra i sessanta e i settant’anni, portati
con un po’ di fatica. Camminava con una certa lentezza e,
osservandola da vicino, si potevano notare le sue caviglie sempre un
po’ gonfie. Vestiva in maniera semplice ma con cura, mai i
capelli in disordine, e gli abiti, piuttosto classici, venivano
scelti comunque con gusto. La si vedeva passare almeno due volte al
giorno, al mattino e alla sera, con tre, quattro pacchetti tra le
mani colmi di cibo di vario genere: talvolta contenevano un po’
di pastasciutta al sugo di pomodoro, altre volte un po’ di
carne o di pesce, e magari alcuni pezzi di formaggio, probabilmente
avanzi di ciò che in famiglia si era consumato. Si inoltrava
sempre in un vicolo tra due palazzi a più piani: arrivava
silenziosa e si fermava davanti ad un muro non molto alto, che
circondava una casa da tempo disabitata. Là si era formata una
minuscola colonia di gatti. Era un numero piuttosto esiguo, ma ben
radicato in quel tratto di periferia. La maggior parte della gente
che abitava nel quartiere non mostrava nessun fastidio: molte persone
amavano gli animali e tenevano nelle loro case cani e gatti, e la
signora Gianna era così discreta e attenta nel ritirare, al
pasto successivo, tutti gli incarti ormai vuoti, che sarebbe stato
veramente difficile trovare qualcosa da dire o da rimproverare.
Niente rimaneva sul muro, né avanzi di cibo né pezzi di
carta; solo, sempre pulite, alcune ciotole per l’acqua.
Gianna,
la gattara, era un esempio di bontà per tutti, di accoglienza
e di amore per gli animali.
Era sposata, ma non aveva figli; se
solo avesse potuto, avrebbe ospitato nella sua casa tutti i gatti che
accudiva per strada, ma ne teneva già quattro, due in casa e
altri due in un orto che suo marito curava nei momenti liberi dal
lavoro. Eppure, con lo stesso amore che aveva per i suoi, tutti
trovatelli (non ne avrebbe mai acquistato uno! Un’idea
assolutamente lontana dal suo modo di vedere le cose), accudiva i
mici randagi. Che poi erano randagi per modo di dire: alcuni li aveva
fatti persino sterilizzare, altri, vittime di qualche incidente
stradale, erano stati portati dal veterinario e curati, tutti
naturalmente a sue spese.
Ma
un giorno capitò qualcosa che lei stessa non aveva previsto.
Una signora del quartiere, con la quale Gianna si fermava spesso a
chiacchierare, la incontrò non troppo distante dal luogo in
cui vivevano i gatti. Si accorse subito che c’era qualcosa che
non andava: la gattara sembrava molto triste, e questa era una cosa
insolita per lei, sempre sorridente nonostante i non pochi acciacchi
con i quali da tempo doveva convivere.
«Che succede,
Gianna», le chiese la signora, «perché questo
sguardo così malinconico? Sta male? È successo
qualcosa?»
«In effetti, sì, qualcosa che mi
ha ferito molto. Mi era stato già detto, in realtà,
tempo fa, ma io non credevo fosse possibile. Mi avevano raccontato
che nel nostro quartiere c’è una persona che non tollera
più i “miei” mici, che non ama nessun animale, non
li sopporta proprio, e tantomeno i gatti. Ma non credevo che sarebbe
arrivato a tanto. Qualcuno sembra che lo conosca: si tratterebbe di
un uomo che si presenta in modo amabile per non destare sospetti, e
che poi, però, non solo maltratta gli animali, ma prepara dei
bocconcini profumati, ci mette del veleno e li dispone un po’
qua un po’ là, nei luoghi in cui i gatti si muovono
liberamente. Mi era stato detto, ma non volevo credere a questa
storia, ho pensato sempre a delle ripicche tra vicini di casa. Sembra
che abiti proprio nella nostra zona. E purtroppo è tutto vero:
stamattina ho trovato tre mici avvelenati. Uno non ce l’ha
fatta: era troppo piccolo, qualche mese soltanto. Gli altri due li ho
portati dal mio veterinario e lui è riuscito a salvarli, forse
non avevano consumato tutto il cibo… Ma che cosa hanno fatto
di male i miei mici!»
La signora cercò in tutti i
modi di consolarla, lei stessa si sentiva indignata davanti a tanta
cattiveria.
Passarono
alcuni giorni senza che avesse notizie della gattara. Non riusciva a
incontrarla, tanto che incominciò a preoccuparsi: era un
comportamento davvero insolito. Dopo circa una settimana, però,
la vide nuovamente avanzare verso il solito vicolo, col suo passo
lento.
«Come sta, Gianna? Devo dirle che ero un po’
in pensiero per lei: quel giorno, quando ci siamo incontrate, non era
molto in forma!»
«Sto bene, grazie per
l’interessamento. Ho preso una decisione, e credo sia quella
giusta: non posso continuare a far finta che nulla sia successo, così
ho deciso di prendere i mici e di occuparmene in modo più
diretto. La mia casa è grande, ho un giardino e dei terrazzi,
e poi abbiamo anche l’orto, che non è tanto lontano da
qui, per fortuna abitiamo in periferia. Certo, sono un po’
stanca, non sono più giovane e ho i miei acciacchi, però…
Ne ho parlato con mio marito, gli ho proposto questa soluzione, devo
ammettere che convincerlo non è stato facile, ma noi donne ci
sappiamo fare, vero? Ora è d’accordo anche lui: i mici
non sono poi tanti, due possiamo tenerli in casa con gli altri, i
rimanenti andranno ad arricchire la famigliola che sta nell’orto.
In fondo non hanno molte pretese, vogliono solo essere amati e avere
qualcosa da mangiare».
La signora rimase per un attimo in
silenzio, poi disse: «Gianna, io non ho mai conosciuto una
persona come lei, capace di provare un amore tanto disinteressato e
profondo: i suoi gatti le saranno molto riconoscenti. Ma anche io per
averla conosciuta. Grazie».
Gianna non riuscì a
rispondere, se non con un sorriso imbarazzato, poi si avviò
per andare a prendere i suoi mici. Quando la gattara scomparve nel
vicolo, la signora riprese la strada di casa. Per un attimo, le
sembrò che persino il cielo facesse le fusa, felice.
Dalla
raccolta “Sguardi
di donne”
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