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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Gianna, la gattara, di Piera Maria Chessa 30/03/2020
 
Gianna, la gattara

di Piera Maria Chessa



La chiamavano così, ma in modo bonario, perché era una persona amabile e discreta che difficilmente sarebbe potuta entrare in contrasto con qualcuno. La sua età non era chiara, probabilmente stava tra i sessanta e i settant’anni, portati con un po’ di fatica. Camminava con una certa lentezza e, osservandola da vicino, si potevano notare le sue caviglie sempre un po’ gonfie. Vestiva in maniera semplice ma con cura, mai i capelli in disordine, e gli abiti, piuttosto classici, venivano scelti comunque con gusto. La si vedeva passare almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera, con tre, quattro pacchetti tra le mani colmi di cibo di vario genere: talvolta contenevano un po’ di pastasciutta al sugo di pomodoro, altre volte un po’ di carne o di pesce, e magari alcuni pezzi di formaggio, probabilmente avanzi di ciò che in famiglia si era consumato. Si inoltrava sempre in un vicolo tra due palazzi a più piani: arrivava silenziosa e si fermava davanti ad un muro non molto alto, che circondava una casa da tempo disabitata. Là si era formata una minuscola colonia di gatti. Era un numero piuttosto esiguo, ma ben radicato in quel tratto di periferia. La maggior parte della gente che abitava nel quartiere non mostrava nessun fastidio: molte persone amavano gli animali e tenevano nelle loro case cani e gatti, e la signora Gianna era così discreta e attenta nel ritirare, al pasto successivo, tutti gli incarti ormai vuoti, che sarebbe stato veramente difficile trovare qualcosa da dire o da rimproverare. Niente rimaneva sul muro, né avanzi di cibo né pezzi di carta; solo, sempre pulite, alcune ciotole per l’acqua.
Gianna, la gattara, era un esempio di bontà per tutti, di accoglienza e di amore per gli animali.
Era sposata, ma non aveva figli; se solo avesse potuto, avrebbe ospitato nella sua casa tutti i gatti che accudiva per strada, ma ne teneva già quattro, due in casa e altri due in un orto che suo marito curava nei momenti liberi dal lavoro. Eppure, con lo stesso amore che aveva per i suoi, tutti trovatelli (non ne avrebbe mai acquistato uno! Un’idea assolutamente lontana dal suo modo di vedere le cose), accudiva i mici randagi. Che poi erano randagi per modo di dire: alcuni li aveva fatti persino sterilizzare, altri, vittime di qualche incidente stradale, erano stati portati dal veterinario e curati, tutti naturalmente a sue spese.

Ma un giorno capitò qualcosa che lei stessa non aveva previsto. Una signora del quartiere, con la quale Gianna si fermava spesso a chiacchierare, la incontrò non troppo distante dal luogo in cui vivevano i gatti. Si accorse subito che c’era qualcosa che non andava: la gattara sembrava molto triste, e questa era una cosa insolita per lei, sempre sorridente nonostante i non pochi acciacchi con i quali da tempo doveva convivere.
«Che succede, Gianna», le chiese la signora, «perché questo sguardo così malinconico? Sta male? È successo qualcosa?»
«In effetti, sì, qualcosa che mi ha ferito molto. Mi era stato già detto, in realtà, tempo fa, ma io non credevo fosse possibile. Mi avevano raccontato che nel nostro quartiere c’è una persona che non tollera più i “miei” mici, che non ama nessun animale, non li sopporta proprio, e tantomeno i gatti. Ma non credevo che sarebbe arrivato a tanto. Qualcuno sembra che lo conosca: si tratterebbe di un uomo che si presenta in modo amabile per non destare sospetti, e che poi, però, non solo maltratta gli animali, ma prepara dei bocconcini profumati, ci mette del veleno e li dispone un po’ qua un po’ là, nei luoghi in cui i gatti si muovono liberamente. Mi era stato detto, ma non volevo credere a questa storia, ho pensato sempre a delle ripicche tra vicini di casa. Sembra che abiti proprio nella nostra zona. E purtroppo è tutto vero: stamattina ho trovato tre mici avvelenati. Uno non ce l’ha fatta: era troppo piccolo, qualche mese soltanto. Gli altri due li ho portati dal mio veterinario e lui è riuscito a salvarli, forse non avevano consumato tutto il cibo… Ma che cosa hanno fatto di male i miei mici!»
La signora cercò in tutti i modi di consolarla, lei stessa si sentiva indignata davanti a tanta cattiveria.

Passarono alcuni giorni senza che avesse notizie della gattara. Non riusciva a incontrarla, tanto che incominciò a preoccuparsi: era un comportamento davvero insolito. Dopo circa una settimana, però, la vide nuovamente avanzare verso il solito vicolo, col suo passo lento.
«Come sta, Gianna? Devo dirle che ero un po’ in pensiero per lei: quel giorno, quando ci siamo incontrate, non era molto in forma!»
«Sto bene, grazie per l’interessamento. Ho preso una decisione, e credo sia quella giusta: non posso continuare a far finta che nulla sia successo, così ho deciso di prendere i mici e di occuparmene in modo più diretto. La mia casa è grande, ho un giardino e dei terrazzi, e poi abbiamo anche l’orto, che non è tanto lontano da qui, per fortuna abitiamo in periferia. Certo, sono un po’ stanca, non sono più giovane e ho i miei acciacchi, però… Ne ho parlato con mio marito, gli ho proposto questa soluzione, devo ammettere che convincerlo non è stato facile, ma noi donne ci sappiamo fare, vero? Ora è d’accordo anche lui: i mici non sono poi tanti, due possiamo tenerli in casa con gli altri, i rimanenti andranno ad arricchire la famigliola che sta nell’orto. In fondo non hanno molte pretese, vogliono solo essere amati e avere qualcosa da mangiare».
La signora rimase per un attimo in silenzio, poi disse: «Gianna, io non ho mai conosciuto una persona come lei, capace di provare un amore tanto disinteressato e profondo: i suoi gatti le saranno molto riconoscenti. Ma anche io per averla conosciuta. Grazie».
Gianna non riuscì a rispondere, se non con un sorriso imbarazzato, poi si avviò per andare a prendere i suoi mici. Quando la gattara scomparve nel vicolo, la signora riprese la strada di casa. Per un attimo, le sembrò che persino il cielo facesse le fusa, felice.



Dalla raccolta “Sguardi di donne


 
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