La
Concarena e il CoronaVi…
di
massimolegnani
Non
so di preciso cosa sia, se un’area geografica, una montagna, o
la frazione di un paese. Avevo sentito quella parola da due ragazzi
che parlavano tra loro di un entusiasmante itinerario ciclistico in
ValCamonica. Io, seduto al tavolo vicino, mi ero segnato su un
foglietto i nomi dei luoghi a mano a mano che li snocciolavano.
Era
autunno inoltrato, troppo avanti la stagione per pensare di
affrontare subito un percorso che prevedeva discrete altitudini, ma
nel frattempo avrei studiato il giro sulla carta. Così,
tornato a casa, mi sono armato di carta penna e atlante, ho
individuato i paesi sconosciuti, ho scoperto vallette e passi alpini
mai sentiti, ho ricostruito una tessera dopo l’altra tutto il
mosaico di una futura pedalata, riportando i dati su un foglietto
pro-memoria, parola quest’ultima che per me non è un
modo di dire ma una necessità per trattenere nero su bianco
ciò che mi volerebbe via nel giro di due giorni.
Solo
Concarena è rimasto un nome ignoto.
Avessi
usato un motore di ricerca o un indice analitico, di sicuro avrei
scoperto cosa fosse, ma ho preferito lasciarlo nel vago e indefinito.
Concarena!
Sa di messicano, di ballo allegro e disperato come una pedalata, sa
di piatto tipico a base di polenta da saziare la fame della sera, sa
di poesia del primo novecento, Carducci forse ne ha scritto tra il
balzo del camoscio e il tuono di valanga. E sa di tanto altro, una
bonaria ingiuria di paese (t’sé propi ‘na
concarena!), un liquore tradizionale a base di erbe e noci,
sconosciuto oltre i confini della valle, una tagliola in legno che un
tempo i bracconieri usavano nei boschi, la caffettiera in stagno
adatta ai cerchi della stufa, imbevibile il caffè ma vuoi
mettere!
Ho
messo il foglietto accanto al pc, che lo vedessi tutti i giorni come
stimolo a uscire ad allenarmi al freddo dell’inverno in vista
della salita a primavera.
Poi
è arrivato il virus a scombinare i piani e rattristare i
giorni.
I
muscoli a rammollire come carciofi in salamoia, la bici che
impigrisce al muro, i vetri a fare da confine invalicabile.
Ma
il foglietto è sempre lì, un poco accartocciato ma
leggibile, come una speranza che non cede, un’amara medicina
che fa bene, un appuntamento solo rinviato.
Salirò,
forse a luglio, forse a settembre, con più fatica del
previsto, ma salirò determinato al passo del Vivione, poi giù
verso Schilpario a prendere l’aria in faccia, e di nuovo su per
l’altopiano di Borno fino a completare il giro, sgranando
ovunque il rosario dei significati che nel tempo fermo avevo dato a
Concarena.
Allora
il ballo messicano, la caffettiera, la tagliola, la polenta, la
poesia, l’ingiuria di paese, il liquore alle erbe, avranno
tutti un senso e una verità loro, al ritmo lento del pedale.
|