Rondini
e falchetti
di
massimolegnani
Dovessimo
dare ascolto al meteo il nostro viaggio slitterebbe ancora, pessime
previsioni per tutta la settimana, ma noi siamo stufi di rinvii,
Concarena sta diventando il titolo di una novela senza tele e
senza fine. Così partiamo in un’alba che non promette
niente di buono, un breve tratto in macchina per portarci in zona, e
poi via con i pedali come fossimo giovani incoscienti.
Durante
una sosta in riva al lago a piluccar ciliegie, Giusi, il mio gemello
d’argento, che per l’occasione ha sacrificato la sua coda
per un taglio più adatto alla fatica, studia il clima incerto
con occhio esperto, a metà tra il contadino e lo scienziato:
Vedi
le rondini? Volano basso.
E
allora?
Significa
che in alto non ci sono insetti, sono schiacciati giù dalla
bassa pressione.
Quindi?
Quindi
è facile che piova nelle prossime ore.
Ah,
bè, adesso sono più tranquillo.
Però
osserva quel falchetto, sta roteando, anche lui a bassa quota, alla
ricerca di una corrente ascensionale.
Guardo
nella direzione che mi ha indicato: in effetti ora il rapace, senza
dare un colpo d’ala, sta salendo in ampi giri a spirale come
sospinto da una forza invisibile. È ormai altissimo, un
puntino nel cielo. Sono perplesso:
Bellissimo
da vedere, e buon per lui che sale senza faticare, ma, scusa, a noi
che cosa cambia?
Cambia,
cambia! Vuol dire che ci sono sacche di alta pressione e il tempo può
tenere.
Ma
insomma, dobbiamo credere alle rondini o al falchetto?
Giusi
risale serafico in sella scrollando testa e spalle in modo eloquente,
come dire che è giusto osservare i segni ma poi bisogna
decidere senza titubare tra domande sciocche, le mie. A volte lui ha
una saggezza spicciola che mi ricorda Camillo.
Così
pedaliamo abbastanza fiduciosi costeggiando l’Iseo alla volta
della ValCamonica. Troviamo e perdiamo di continuo la pista ciclabile
dell’Oglio che a tratti sembra sparire nel nulla e ci costringe
a chilometri di statale. Comunque è un bel pedalare
pianeggiante tra campi, vigneti e fiume, in attesa di affrontare la
salita.
A
Cividate abbandoniamo la piana per inerpicarci in una valle laterale
che ci avvicina alla Concarena, anzi poco alla volta gireremo intorno
a questa vetta.
È
la prima vera salita di quest’anno e per me è uno
strazio, gambe molli e fiato in affanno già dopo un
chilometro. Ripenso al falchetto, alla sua tecnica di volo
ascensionale così proficua. Spalanco le braccia e aspetto una
corrente che mi porti in alto ma non succede nulla se non un
oscillare pericoloso della bici. Mi rassegno a salire con il mio
ritmo, faticoso e lento, senza tentare di tenere il passo più
sostenuto del mio amico. Ogni tanto alzo lo sguardo verso le cime
alla mia destra e mi domando quale sia tra queste la Concarena, ma le
vette più alte sono coperte dalle nuvole e poi non so come sia
fatta questa montagna, non ho cercato sue foto in internet, voglio la
sorpresa.
Alla
Croce di Salvem finisce la salita tra pascoli e boschi. Ci tuffiamo
nella discesa per una strada stretta tutta curve che ci porterà
al fondovalle della Presolana. Il piacere di una discesa impegnativa
è offuscato dal pensiero che più scendiamo e più
dura e lunga sarà la risalita verso Schilpario e il passo del
Vivione.
Quando
ripartiamo da Schilpario è una mattina fredda e nebbiosa,
forse pioviggina o forse è la condensa della nebbia, le
montagne circostanti sono avvolte dalle nuvole, di sperare di vedere
finalmente la Concarena non se ne parla. Tutto sembra contribuire
alla malinconia, ma c’è una notizia che mi ha appena
riempito di entusiasmo: alcuni valligiani ieri sera mi hanno detto
che la Concarena è la montagna sacra della ValCamonica, hanno
usato proprio quell’aggettivo. Pare che agli equinozi, all’alba
e al tramonto, ci sia un magico gioco di luci dorate tra questa vetta
e il suo dirimpettaio dall’altra parte della valle, il Pizzo
Badile, il sole penetra tra le guglie di uno proiettando sulle rocce
dell’altro immagini spettacolari. Ecco perché da mesi il
suo nome, udito per caso, mi ha stregato senza un apparente motivo e
mi ha condotto fino a qua.
Così
affronto la durissima salita con una gioia segreta, sento la
sacralità dei luoghi e trovo giusto, non deludente, che la
montagna nobile non si conceda al mio sguardo. La salita è
un’emozione che mi fa quasi dimenticare la fatica, pedalo tra
pinete profumate, piccole radure e improvvisi dirupi. Quando alzo lo
sguardo vedo Giusi su in alto, parecchi tornanti avanti a me, ma non
mi preoccupo, oggi so che anch’io arriverò in cima.
Finiti
i boschi il paesaggio si fa più brullo, selvaggio,
all’altitudine resistono solo erba bassa e rododendri in fiore,
nessuna costruzione se non quella casetta gialla che vedo laggiù
in fondo alla valle. Quando arrivo al passo, nonostante il freddo
sudo fin nei denti. Tutto è un silenzio magico fatto di nuvole
e vento, anche noi ci scambiamo sorrisi soddisfatti ma non parliamo.
Ci copriamo come fosse inverno per affrontare la lunghissima discesa
che ci riporterà nel cuore della ValCamonica.
A
metà discesa ho come un presentimento, la sensazione di essere
osservato. Mi fermo e mi volto indietro: lassù in alto si
staglia in un cielo improvvisamente azzurro la sagoma imponente della
Concarena, rocce aguzze che sembrano dolomite. Non è una beffa
questa apparizione tardiva, è un saluto esclusivo da parte
della montagna sacra, come mi rassicurasse che lei di nascosto mi ha
seguito e ha condiviso le mie fatiche.
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