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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Faffankullo, di Lorenzo De Ninis 31/01/2021
 
Faffankullo

di Lorenzo De Ninis



Avevo quattro anni e mezzo. Ricordo ancora quando sbucò sul versante destro della collina il carro armato tedesco con la canna minacciosa del cannone puntata verso il paese. Corsi in casa, dove mio padre e mia madre stavano ammucchiando la poca roba da portar via. Dovevamo sfollare, era rischioso rimanere in paese. Il giorno prima s'era sparsa la voce che sarebbero arrivati i Tedeschi.

Partimmo con il carretto tirato a mano da mio padre dove erano state messe in sacchi le cose indispensabili. Mio fratello minore stava avvolto in una coperta tra i fagotti, mentre io portavo sulle spalle un sacchetto di foglie di tabacco e patata, che mio padre avrebbe tritato e mescolato per fare le sigarette.
Dopo un giorno di viaggio, trovammo rifugio in una vecchia casa colonica insieme con altri sfollati. Rimanemmo in quel posto più di un anno. Si dormiva su pagliericci riempiti di foglie di mais stesi sul pavimento di mattoni, coperti da mantelline e vecchi pastrani. La cucina, abbandonata chi sa da quanto tempo, tutta nera e sporca, ripulita dai miei per quanto si poteva, aveva un grosso focolare, dove mia madre cucinava servendosi degli oggetti che avevamo portato con noi e del cibo che mio padre si procurava con lavoretti nei dintorni.
A poca distanza dalla casa si era insediato un comando tedesco con guarnigione di soldati quasi tutti molto giovani.
Mia madre, spinta dal bisogno, cominciò a lavare e stirare le camicie per gli ufficiali e sottufficiali.
A portarle e ritirarle, di solito, veniva un aitante soldato, altissimo e biondo, che mi prese in simpatia. Mi offriva qualche caramella insieme al pane nero di segala. E spesso si metteva a giocare con me e mio fratello.
Una volta come un gigante mi prese per la vita, mi sollevò fino agli anelli infissi nel soffitto, che mi fece afferrare, e poi mi lasciò penzoloni. Impaurito, mi misi a gridare la prima parolaccia che avevo imparato senza per altro conoscerne il vero significato:
-Vaffanculooo!-
Lui mi prese di nuovo e mi appoggiò a terra, mentre rideva e ripeteva contento:
-Faffankullo, faffankullo!-
Un'altra volta mi prese per il tallone e mi infilò a testa in giù nel pozzo che si trovava vicino all'aia. Anche in quel caso, quando stavo per toccare l'acqua, mi misi ad urlare vaffanculo a più non posso, e quella magica parola rimbombante sulle umide pareti muschiose mi tirò fuori dal pericolo. Lui, naturalmente, rideva pronunciando faffankullo.

Un giorno trafficavo insieme con mio fratello vicino al focolare e non mi accorsi di un pezzo di tavola da cui fuoriuscivano quattro grossi chiodi arrugginiti. Dove credete che Lorenzo si sedette? Depose la sua tenera chiappa destra proprio su quei puntuti chiodi.
Urlai come un forsennato, accompagnato nel concerto da mio fratello, fino a quando giunsero mia madre e mio padre (si nascondeva per ore nell'intercapedine di due muri per sfuggire alle retate dei Tedeschi e Fascisti) che mi diedero le prime cure. Ma c'era il pericolo del tetano, comunque di un'infezione.
Poco lontano, oltre la vecchia ferrovia, i Tedeschi avevano adibito una casa ad infermeria. Là mia madre, facendosi coraggio e sfidando tutti i pareri negativi, mi portò.
Quando entrammo, scorsi Faffankullo e mi passò la paura. Lui fu contento di vedermi e mi accolse con un gioioso abbraccio. Prima dell'iniezione, tolse il pezzo di lenzuolo e pulì il tutto con impacchi di alcool che bruciava e mi faceva male. Cominciai a strillare e piangere. Per rabbonirmi infilò una mano in tasca. Pensai che volesse darmi una caramella, invece tirò fuori il portafogli da cui estrasse una foto che mi mostrò. Mi segnò col dito un bambino riccioluto all'incirca della mia età, dicendo: -Kwesto essere Otto, fighlio mio- e poi indicò la giovane donna -Kwesta sua mammà-
A sentire "otto", guardai stupito mia madre e mi misi a ridere (credevo che i numeri servissero ad altro!) e mi calmai.
Fatta la puntura, aggiunse: -Tu essere puono, non dire me faffankullo-
Aveva scoperto il significato della misteriosa parola! Finita la medicazione, mi infilò sul petto, sotto la camiciola, un pezzo di pane nero e con una carezza mi salutò, mentre su pressione di mia madre gli dicevo sorridendo: -Grazie, ciao-

 
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