Il
passerotto liberato
di
Sergio Menghi
Ho
già parlato di quel campo denominato 'longarina' e delle sue
tre quercie secolari la cui ombra era rifugio ambito per ristorarsi
un pò durante i lavori, specialmente quando il sole spaccava
le pietre, come si soleva dire, nei mesi di luglio ed agosto.
La
storia che vorrei raccontare è avvenuta prima, fine maggio
primi di giugno, quando il campo mostrava le sue alte messi fiorite
di papaveri, erba medica matura e pronta per essere sfalciata ed
essiccata, da trasormare in fieno, foraggio prezioso per alimentare
buoi e mucche ed altri animali domestici come conigli, capre e
pecore.
Il
lavoro di falciatura richiedeva diverse giornate e molta forza
fisica, quindi erano gli uomini, che iniziavano il mattino presto di
buon ora e verso le ore dieci circa consumavano una breve colazione,
ma sostanziosa a base di uova fritte o sode, formaggio, prosciutto e,
ovviamente, non doveva mancare il pane ed il vino, se poi ci fossero
stati dei dolci non sarebbero andati a male.
Quella
mattina la nonna aveva messo nel cesto delle vivande anche un salame,
prodotto in quasi tutte le famiglie coloniche di quel tempo, chiamato
ciavuscolo 'ciausculu'. Si confezionava nel mese di gennaio, quando
venivano uccisi i maiali e si faceva la pista, cioè si
macellava la carne e si ottenevano vari prodotti, salsicce,
prosciutto, cotechini, guanciale 'varbaglia', zamponi 'zampitti',
lonze ed altro ancora; del maiale si consumava tutto, non si mandava
niente a male.
Gran
parte di questi prodotti venivano poi stagionati in appositi locali,
freschi ed asciutti, chiamati dispense, e si usavano tutto l'anno
fino al prossimo inverno, quando il processo veniva rinnovato con i
nuovi maiali che io avevo portato al pascolo con tanta cura e
dedizione.
La
fase di ingrasso veniva però curata dalla nonna che ogni
giorno accudiva i maiali tenuti nella porcilaia, trasportando pesanti
secchi di pastone a base di patate, semola di grano tenero, mais
triturato, bietole ed altre verdure di stagione. Al momento della
mattanza, non nascondo, provavo un pò di dispiacere, ma
pensando ai succulenti prodotti che ci fornivano quegli animali,
trovavo un po’ consolazione.
Quando
iniziavano i lavori duri dei campi si cominciava anche a consumare
questi prodotti che apportavano la giusta dose di calorie necessarie.
Il
ciavuscolo o 'ciausculu' si produce ancora oggi, ma non più
nelle fattorie, dalle famiglie rurali che sono del tutto scomparse a
seguito della urbanizzazione, di cui vorrei parlare più
avanti, bensi da aziende agricole che lo commercializzano con i
metodi ora in uso. La qualitá del prodotto è comunque
molto buona e tipica delle nostre zone ed è molto richiesta.
A
portare quella mattina nel campo la colazione, detta 'buccuncillu',
cioè piccolo boccone, che poi non era tanto piccolo, andammo
la mamma ed io. Apparecchiammo all'ombra delle querce, sopra l'erba
appena sfalciata che emanava un forte profumo di freschezza. Il prato
pullulava di insetti, scossi dal passaggio della falce ed in cerca di
una nuova sistemazione. Si distinguevano le coccinelle, per il colore
rosso vivace, maculato da macchie nere, formiche, grilli, cavallette,
ragni, api, che si affrettavano a succhiare l'ultimo nettare per poi
volare e fecondare i fiori dei vari alberi da frutto nel vigneto e
nell'orto.
Mio
padre, mio zio e mio nonno si sedettero per terra e mia madre iniziò
a distribuire i pasti. Quando avevamo quasi finito di mangiare e si
faceva un piccolo breck prima di ricominciare il lavoro, un
passerotto, che dall'alto della quercia centrale stava imparando a
volare con l'aiuto della mamma, l'abbiamo visto cadere sulla tovaglia
ancora apparecchiata, forse con le forze stremate per l'inesperienza,
ma poteva anche essere stato attratto dalle numerose briciole sparse
sul telo di stoffa.
Con
l'istinto venatorio, che doveva essere certamente presente nel mio
dna, mi sono subito avventato sul piccolo uccelino afferrandolo e
trattenendolo nelle mie piccole mani ed ho cominciato ad osservarlo
con molta curiosità. Non mi era mai capitato di tenere così
vicino un piccolo uccellino che mi guardava con i suoi piccoli
occhietti cercando forse di capire le mie intenzioni e, di tanto in
tanto, si dimenava senza riuscire a liberarsi.
Sentivo
il suo piccolo cuoricino battere alla velocità del suono e la
sua mamma, dalla sommità della quercia, emetteva forti
richiami e lamentosi stridii.
Dopo
un pò di tempo da me passato a registrare tutte queste novità,
mia madre mi disse:"perchè non lo liberi, non senti come
la sua mamma è disperara?".
Io
non ho ubbidito subito, pensavo di portarlo a casa ed allevarlo
mettendolo in gabbia. Avrei avuto un piccolo amico cui pensavo di
riservare tutte le migliori cure e premure in cambio di un pò
di canto e di compagnia, ma alla fine ho capito che, come per me, la
migliore vita era quella in compagnia della propria mamma.
Ho
indugiato ancora un pó allentando forse la presa, tanto da far
comprendere che stavo maturando una decisione importante per la sua
salvezza.
Lui
adesso mi guardava fisso ed implorante con i suoi piccoli occhietti
come per dirmi: "che aspetti, non senti quello che ti dice tua
madre?".
Fu
così che lo rilanciai in aria e la sua mamma si precipitò
quasi fino a terra per sostenerlo e riportarlo in quota nel suo
ambiente a me estraneo. Forse sarà per questo che in molte
notti di quel periodo sognavo di volare ed il mattino mi svegliavo
felice e risollevato da angosce che, anche allora, non potevano
mancare.
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