La
panettiera di via Sansovino
di
massimolegnani
Le
prime restrizioni anti-covid avevano gettato Camillo in ambasce, la
spesa era diventata un’impresa, code fuori dagli alimentari
come nella Russia di antica memoria e, quando finalmente entravi,
spesso gli scaffali erano vuoti. Il peggio era la panetteria del
centro dove si era sempre servito, mai una volta che in quei tempi
cupi gli riuscisse di trovare i francesini, il suo pane
preferito che lui si ostinava a chiamare le francesine in
ricordo di un bel nasino all’insù conosciuto a Digione
una vita prima. Una volta che provò a lamentarsi della
scarsità del pane, la padrona addossò la colpa alla
ragazza che gestiva il loro forno, mi manda pochi francesini, i
più li tiene per i suoi clienti, come se quella vipera potesse
decidere di testa sua. Così Camillo scoprì che in
una strada di periferia assieme al forno c’era un’altra
rivendita meno affollata e forse più rifornita.
Dovette
girare parecchio prima di trovare via Sansovino e il primo impatto
non fu dei migliori. Una ragazzona di taglia forte, più
muscoli che ciccia, e dai tratti grossolani come scolpiti in un legno
duro con l’accetta, spostava ceste di pane da dieci chili come
fossero fuscelli e andava di continuo dal forno al banco imprecando
tra sé e ignorando l’uomo che in silenzio aspettava di
essere servito.
Improvvisamente
sembra accorgersi di lui, lo squadra e gli chiede con poco garbo cosa
voglia. A disagio di fronte a quella furia, Camillo le risponde
titubante otto francesine morbide. La ragazza non commenta
l’uso del femminile, ficca in un sacchetto otto pezzi presi a
caso dalla scansia, incassa i soldi e se ne va di là senza un
saluto.
Brutto
affare si disse Camillo uscendo e si ripromise di non tornarci
più.
Ma
dopo pochi giorni era di nuovo lì, in nome della seconda
opportunità da concedere anche ai soggetti meno meritevoli.
Oh,
eccola, lo riconosce con immediatezza la ragazza, lei è
quello del pane morbido.
Bè,
sì, se è possibile. Otto francesine.
Cercherò
di accontentarla, dice lei e si mette a frugare a due mani nella
grande cesta.
Quando
gli porge il sacchetto gli raccomanda di lasciar respirare il pane
ancora caldo e, mentre lo aiuta a riporlo nello zainetto, aggiunge
con una speciale premura: non chiuda la cerniera così le
francesine prendono aria.
Bella
storia si disse Camillo uscendo dalla bottega. E inforcò
la bicicletta con cautela, attento a non far cadere le pagnottelle.
A
cena non gli dispiacque trovare l’impronta delle dita della
ragazza impresse nella crosta del pane.
La
terza volta che si presentò in negozio non fu per consolidare
l’opportunità concessa, ma per il puro piacere del pane.
Senta,
ci ho riflettuto, gli dice la ragazza a mo’ di saluto.
Su
cosa?, domanda Camillo già in allarme.
Perché
si ostina con le francesine che per definizione sono croccanti? Mica
facile, sa, trovargliene di morbide.
Bè,
per abitudine, e poi è il pane che più si avvicina ai
miei gusti.
Ha
mai provato le ciabattine? Secondo me sono più adatte a lei.
La
panettiera mette sul bancone una forma di pane allungata, non tanto
più grande di una francesina. Aspetta che lui la osservi bene,
poi la spezza e gliene offre un boccone. Camillo mastica e intanto
guarda la ragazza, si è fatto più morbido il legno in
cui è intagliata.
Allora?
Buono!
Prendo sette ciabattine.
La
panettiera è palesemente soddisfatta. Imbusta il pane in
allegria e gli fa le solite raccomandazioni sul farlo respirare a
dovere.
Se
poi non sarà soddisfatto, torneremo alle sue francesine,
gli dice quando lui è già sulla porta.
Bello
quel plurale, “torneremo”, si disse Camillo
sorridendo, mentre pedalava verso casa con il carico di pane nuovo.
|