Il
nido di lepri in cima alla pianta dell'olmo
di
Sergio Menghi
Ero
un bambino di circa sei o sette anni e come tutti i grandi della
famiglia avevo un ruolo nelle varie attività che si svolgevano
durante l'anno. La mia principale attività era quella di
condurre i maiali al pascolo nei diversi appezzamenti del vasto
podere, man mano che questi si liberavano dalle coltivazioni
principali.
In
quel periodo, fine agosto primi di settembre, mi recavo in un campo
denominato in dialetto 'li funni' perché si trovava, e si
trova ancora, in fondo ad una ripida vallata sulla cui sommità
si trovava, e si trova tuttora, la grande casa colonica.
Questi
campi erano delimitati a sud, sud oves, da un torrentello che a
primavera, autunno ed inverno si ingrossava con le acque piovane, ma
in estate era sempre asciutto. Era popolato da una folta vegetazione
e da grosse piante di olmi rigogliosi e verdeggianti che in quella
stagione venivano 'scapecciati', cioè privati del loro
fogliame, per darlo come alimento rinfrescante e vitaminico al
bestiame, duramente impegnato nei lavori di mietitura, aratura e
cosi' via.
Dall'altra
parte del ruscello c'era una vasta proprietà condotta,
anch'essa a mezzadria, da una famiglia numerosa composta in
prevalenza da elementi maschili a differenza della mia in cui
prevaleva la componente femminile, fatta esclusione dei bambini.
In
quella parte del campo, denominata 'i rotelli', perché il
torrente formava delle piccole anse a forma di ruote, i nostri vicini
ci coltivavano ortaggi ad uso familiare e quindi sostavano per lunghe
ore, favorendo spesso la conversazione, lo scambio di informazioni e
le cosiddette chiacchiere, specialmente se dalla nostra parte c'erano
le donne.
Tra
tutti gli uomini uno dei più vispi ed ironici era un tale di
nome Francesco, detto 'Franciscu de Santo', che prendeva il lavoro
con una certa filosofia, anche perchè la sua struttura fisica
non era delle più forti, raccontava saporite barzellette e
stava simpatico anche me.
Uno
di quei giorni di fine agosto primi di settembre mi tirò uno
scherzo che, come potete vedere, mi ricordo ancora bene e forse ha
condizionato il mio carattere facendomi comprendere bene il senso
della diffidenza che non è da ritenersi in assoluto un bene
ma, in molte circostanze, può essere utile per evitare danni
maggiori.
Ebbene
mi disse, con atteggiamento serio ma anche di meraviglia e di leggero
imbarazzo da parte sua perchè non poteva realizzare il sogno
che mi stava illustrando, che in cima ad una pianta di olmo, non
ancora scapecciata e dalla parte nostra, cioè non di sua
proprietà, aveva scoperto un nido di lepri nel quale con
frequenza, a sera inoltrata, una coppia saliva per nutrire i piccoli.
Questo me lo diceva perché nella mia famiglia avevamo uno zio
cacciatore ed in quell'epoca, come documentato da molte foto, la
caccia alla lepre era molto frequentata e c'erano molti trofei e
feste paesane per celebrarla.
Io
tornai a casa quella sera con un entusiasmo inconsueto pronto a
comunicare la straordinaria notizia in occasione del raduno per la
cena e, dopo che i grandi avevano consumato i lori cibi e discusso e
messo a fuoco i problemi principali, pensai fosse giunto il momento
di portare una nota di allegria, che, in effetti, non mancò
perché tutti scoppiarono in una grossa risata.
Ci
rimasi veramente male, provai a replicare aggiungendo che lo
confermava una persona grande che tutti conoscevano come amico di
famiglia, ma il sorriso non cessava e cominciai a ricredermi di aver
incassato una grossa bufala.
Non
potevo sopportare di essere preso in giro anche dai membri della
famiglia così scappai di casa pensando di rasserenarmi
gradualmente nel buio della notte, rotto appena dal luccichio di
infinite lucciole. Corsi in salita a nascondermi nei campi di
granturco di un altro vicino confinante, mi sdraiai per terra e mi si
presentarono agli occhi altri miliardi di stelle della via lattea che
sembrava si muovessero lentamente da est verso ovest.
Vidi
mia madre che usci fuori di casa a cercarmi chiamandomi, non sapendo
che direzione prendere, ma non risposi. All'orizzonte la luna, quasi
piena, incominciava a fare capolino tra un pò di foschia e
cominciavo a sentirmi meglio. Rimasi ancora, non so quanto, a
contemplare quello spettacolo naturale finché la luna, ormai
alta sull'orizzonte, mi fece venire in mente una nuova ansia, la
paura delle streghe di cui vorrei parlare in un prossimo racconto,
che cominciò a crescere sempre più fino a diventare
panico e mi indusse a prendere la via del ritorno.
Notai
che tutte le luci del casato si erano spente perché le
stanchezze dei lavori del giorno non consentivano altro se non il
riposo.
La
cosa non mi sorprendeva anzi mi faceva piacere perché era
segno che tutti avevano già dimenticato, mia madre avrà
dovuto rassegnarsi conoscendo la mia caparbietà e sapendo che
avrei fatto sicuramente ritorno.
Da
Aricordete
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