Matilde
è in viaggio
di
massimolegnani
È
incredibile quello che mi è successo mentre andavo in posta.
Giosuè
si era lasciato cadere sulla poltroncina della camera da letto e
parlava concitato a Matilde che intanto preparava la valigia.
Stavo
attraversando il parcheggio di piazza Risorgimento quando mi sono
sentito chiamare o meglio qualcuno chiamava a gran voce “ingegnere,
ehi, ingegnere”. Anche se non sono ingegnere mi sono voltato
per curiosità: un tipo tutto in ghingheri scende da un
macchinone americano e mi viene incontro sbracciandosi… ma mi
stai ascoltando?
In
effetti Matilde andava e veniva dalla stanza, apriva armadi, frugava
cassetti, sceglieva indumenti della cui scelta si pentiva prima di
arrivare alla valigia e allora tornava indietro li riponeva e
prendeva altri capi in mano, sempre perplessa. Insomma, faceva di
tutto tranne che ascoltarlo con attenzione.
Sì,
sì, Giosuè, ti sto sentendo, ma tu non farla tanto
lunga, non vedi che ho fretta?
Sta’
a sentire, non capivo chi fosse, ma quello sembrava conoscermi bene e
mi sommergeva di parole tanto da stordirmi. “Quante ne abbiamo
fatte a scuola! Ti ho dato io il soprannome di ingegnere perché
ti piaceva far di calcolo, ricordi?” e mi abbracciava e mi dava
pacche sulle spalle e io che non ricordavo nulla annaspavo.
Mmh,
secondo me aveva sbagliato persona oppure era un...
Aspetta!
A un certo punto mi confida di essere entrato nel campo della moda e
tira fuori un campionario di cravatte, sciarpe, guanti, in confezioni
eleganti con stampigliati su marchi famosi e prezzi da capogiro.
Ecco,
appunto, un truffatore! Avrà visto la tua faccia ingenua e
avrà tentato il colpo.
Vedendo
quei prezzi ho pensato anch’io volesse vendermi qualche
articolo, invece lui con un gesto generoso ha insistito per regalarmi
una cravatta. Guarda, dimmi se non è elegante!
Ma
se tu nemmeno la metti la cravatta!
Che
c’entra, è la generosità che mi ha commosso.
Voleva regalarmi altra roba ma io in un sussulto di dignità ho
rifiutato.
Bravo,
magari era merce rubata. Temevo ti fossi lasciato abbindolare.
Beh,
in effetti, stava già per ripartire un po’ infastidito
dal mio rifiuto ad accettare altri regali, quando si è sporto
dal finestrino chiedendomi di prestargli qualche soldo per la
benzina, doveva fare un viaggio lungo.
Non
ti sarai fatto fregare?
La
voce di Matilde era diventata un ruggito, quella di Giosuè
sempre più flebile.
Mah,
ho aperto il portafoglio per mostrargli che avevo pochi soldi. Lui è
stato velocissimo, con due dita mi ha sfilato due banconote da
diecimila lire, “vabbè mi accontento di queste”,
mi ha detto sorridendo. È ripartito sgommando e mi ha lasciato
lì completamente frastornato.
Ma
sei un idiota! Ventimila lire a uno sconosciuto? Ti sei fatto
intortare come un fesso.
Matilde
era furibonda, sbattè con rabbia in valigia le ultime cose e
chiuse le cerniere con una violenza che fece rabbrividire il marito.
Lui
sosteneva di conoscermi bene e io ero a disagio perché non lo
ricordavo affatto.
Ma
per forza, tu quello non lo avevi mai visto prima. Non l’hai
ancora capito?
Dici?
Eppure mi ha chiesto l’indirizzo per restituirmi i soldi la
prima volta che passerà di qui.
Oh,
Giosuè, sei proprio un caso disperato. Quello non passerà
mai più di qui, fidati. E se dovesse tornare sarà per
svaligiarci la casa. Su, non fare quella faccia e chiamami il taxi
per l’aeroporto.
In
effetti sembrava che solo in quel momento lui si fosse reso conto di
essere stato raggirato. Rimase seduto con lo sguardo attonito e solo
dopo l’insistenza di sua moglie si alzò e come un automa
scese le scale per raggiungere il telefono.
Quando
arrivò il taxi, Matilde abbracciò il marito
sorridendogli, quasi a perdonargli la sua dabbenaggine, ma lui era
ancora troppo scosso dalla rivelazione per poter apprezzare il gesto
di riconciliazione. Si limitò a darle un bacetto sulla guancia
e ad augurarle buon viaggio. Poi quando lei era già seduta in
macchina le gridò telefonami quando sei atterrata a
Palermo.
Giosuè
si svegliò di soprassalto perché il telefono squillava.
Il suono riecheggiava dall’atrio con una potenza amplificata
dalle scale. L’orologio luminoso che teneva sul comodino
segnava le due di notte.
La
sua prima reazione fu di muovere di istinto il braccio verso l’altra
metà del letto, ma la mano si perse tra le coperte vuote. Solo
a quel punto Giosuè balzò a sedere. Guardò alla
sua sinistra la parte di letto intatta e, svegliandosi del tutto,
ebbe la sensazione di infilarsi in un incubo. Matilde in viaggio,
senza di lui per la prima volta, e il telefono che suonava in piena
notte; difficile tenere separati questi due elementi. E unirli
significava presagire il peggio.
Rimase
a lungo immobile, attanagliato dalla paura.
L’insistenza
degli squilli era terrificante.
Lottò
per contrastare la voglia vigliacca di non sapere niente. Attimi
interminabili prima di trovare il coraggio di andare incontro a
quella minaccia oscura. Poi fu un precipitarsi tremebondo per il
corridoio e giù per le scale. “Matilde”
mormorava tra sè ad ogni gradino. Arrivò nell’atrio
e rimase a guardare il nero apparecchio fissato alla parete, pregando
che smettesse di squillare. Il suono aspro gli tolse l’ultima
speranza. Staccò la cornetta senza trovare il fiato per dire
pronto.
Corri!
Devi venire subito. È successa una cosa terribile.
Parole
concitate, urlate in un trambusto di sottofondo. Una voce febbrile,
irriconoscibile.
Ma…
Sbrigati!
Non perdere tempo! Vieni.
Ma
chi…
Sta
morendo, lo capisci?
Giosuè
appoggiò la fronte alla parete e vomitò la cena senza
il minimo sforzo. Avesse potuto rigettare allo stesso modo le parole
che gli erano appena penetrate nell’orecchio!
La
voce lo incalzò:
Non
hai un minuto da perdere, Antonio. La situazione sta precipitando.
Come…Non
capisco., riuscì a balbettare lui con fatica.
Cristo,
tua moglie sta morendo. Lo sai che... Poi, improvvisamente, più
nulla.
Pronto,
pronto, pronto! Non lasciatemi così.
La
linea doveva essere caduta. Giosuè fissava la cornetta muta
come potesse rianimarla con la propria disperazione.
Lentamente
si lasciò scivolare sul pavimento. Matilde stava morendo e lui
non sapeva nemmeno dove questa tragedia stesse accadendo.
Poche
ore prima lei l’aveva chiamato da Punta Raisi per dirgli che il
volo era andato bene. Ma da lì aveva ancora un centinaio di
chilometri da percorrere in auto, prima di raggiungere Enna. Poteva
essere successo di tutto in quel tragitto, o in Enna stessa. Cretino
lui che aveva temuto solo il viaggio in aereo e le aveva detto che
non era il caso che lo richiamasse quando fosse arrivata in città.
Aveva detto così solo per non mostrarsi apprensivo, sapeva
quanto questo la infastidisse. E adesso dove poteva cercarla?
Matilde.
Gesù ti prego, fa’ che sia viva, bisbigliò
ancora accartocciato contro il muro.
Dopo
un tempo immobile Giosuè fu preso da un improvviso bisogno di
agire. Si rimise in piedi e si guardò intorno nell’atrio
silenzioso. Ogni istante era prezioso, doveva fare. Ma cosa? Corse di
sopra, si sciacquò la faccia, si vestì e raccattò
tutti i soldi che trovò in giro per casa. Volare a Palermo,
ecco, quello era il punto fermo da cui iniziare le ricerche.
Era
già sulla porta di casa quando si bloccò con la mano
sulla maniglia. Gli era tornato in mente uno scampolo della
telefonata: “Non hai un minuto da perdere, Antonio.”
La voce sconosciuta l’aveva chiamato Antonio, come aveva fatto
a non accorgersene subito? E poi, gli parlava come lo conoscesse
bene, mentre per lui quella era, per l’appunto, una voce
sconosciuta. Che nella concitazione quell’individuo avesse
sbagliato numero? Allora significava che Matilde non stava correndo
alcun pericolo.
Giosuè
provò un fugace sollievo.
Già,
e se invece la persona, che lui al telefono non aveva riconosciuto,
era un amico che proprio per la concitazione aveva una voce diversa e
che per lo stesso motivo aveva pure confuso il suo nome?
Fu
preso da una nuova ondata di angoscia.
Crollò
in ginocchio per una breve preghiera: Signore mio, Gesù,
sono pronto a qualunque sacrificio ma rendimi Matilde sana e salva.
Dopo
qualche minuto di raccoglimento, si rialzò più
rinfrancato. E finalmente fece la cosa più logica, quella che
avrebbe dovuto fare da subito. Cercò il bigliettino che gli
aveva lasciato sua moglie e chiamò l’Hotel Le Madonie di
Enna.
Il
portiere di notte impiegò interminabili minuti a rispondere.
Per
cortesia mi passi la camera della signora Barlocco.
Pronto,
gli rispose dopo parecchi squilli la voce impastata di sonno di
sua moglie.
Matilde,
amore mio, come sono felice di sentirti!
Giosuè,
ma è successo qualcosa?
No
cara, tranquilla. Volevo solo sentirti.
Ma,
a quest’ora di notte? Dio mio, la tua gelosia non ha limiti.
No,
no, cosa vai a pensare, volevo solo essere sicuro che stessi bene.
Sapessi che sollievo, domani quando torni ti racconto. Buonanotte,
Matilde, ti voglio bene.
E
riattaccò prima che lei potesse ribattere.
Giosuè
salì le scale quasi danzando e, una volta in camera, si lasciò
cadere a peso morto sul letto. Una risata tra l’amaro e il
divertito squarciò il silenzio: che cretino sono a pensare
sempre al peggio. La vita è più rosea di quel che
credo, si disse a voce alta come un’autoconsolazione prima
di dormire.
Dopo
un’ora, però, non aveva ancora ripreso il sonno. Nella
felicità appena ritrovata si stava insinuando un tarlo: come
un agente segreto che con le cuffie in testa decripta con cura una
conversazione carpita, riascoltò più volte mentalmente
la breve telefonata. All’ennesimo riascolto si domandò
se davvero non doveva dare importanza a quel vago borbottio di
protesta, prettamente maschile, che gli sembrava di udire in
sottofondo alle parole di sua moglie. E con la compagnia di quel
tarlo che gli rosicchiava l’anima come un vecchio legno, Giosuè
rimase sveglio il resto della notte.
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