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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La baita del desiderio, di massimolegnani 11/09/2023
 

La baita del desiderio

di massimolegnani



Sono uomo di città, ma ho una baita malandata su in montagna, poco sopra Noasca, dove mi rifugio tutte le volte che posso. Si trova in una conca in parte occupata da un piccolo lago e nascosta al mondo da un fitto bosco di larici. Mettere gli scarponi da montagna, infilare gli spallaci dello zaino, abbandonare l´auto in paese e procedere a piedi sono un atto significativo, sento lo stacco netto con quanto mi lascio alle spalle. L´ora buona di cammino che ci vuole per raggiungerla, anche il doppio del tempo se piove o ha appena nevicato, mi permette di entrare poco alla volta in un´altra dimensione con la giusta dose di fatica.

È una fatica comunque ripagata dalla bellezza del luogo e dalla posizione solitaria della vecchia costruzione che da uno sperone roccioso domina lo specchio d´acqua. Attorno una corona di alberi maestosi e una silenziosa corte di animali, prudenti ma curiosi, che intuisci ma non vedi.

È un luogo d´incanto, ma per goderne appieno devi saperti adattare a un rifugio di fortuna senza agi: immagina una vecchia costruzione di pietre grezze e legno, le pareti senza intonaco che sono un colabrodo all´aria gelida d´inverno; immagina l´arredamento scarno, un tavolo, due panche, un camino, un letto. È tutto qui il mio regno, niente elettricità, niente riscaldamento, niente acqua corrente. Ma l´acqua corre lì vicino, un ruscelletto che di giorno ti disseta e di notte ti accompagna il sonno con un gorgoglio sommesso, e un poco di calore lo ricavi dalle braci del camino che vanno avanti tutta notte. Quanto alla luce, beh, di giorno ce n´è tanta, e di notte il buio ti riconduce a un ritmo naturale.

Le prime ore di soggiorno sono un impegno per tutte le incombenze necessarie a rendere vivibile la baita, l´approvvigionamento d´acqua, le scorte di legna, il rabbocco delle lampade a petrolio, l´accensione del focolare, la riparazione di qualche danno del maltempo, insomma, arriva pomeriggio che ancora devo pranzare. Ma qui il tempo ha una valenza diversa che in città, non è scandito dagli appuntamenti di lavoro ma dai fenomeni naturali che devi rispettare, la luce soprattutto che va sfruttata fin che c´è per quei lavori all´aperto che non potresti fare al buio. Così, un´ora dopo l´altra, finisce che il pranzo coincida con la cena e mangio affamato ogni cosa che sono riuscito a cucinarmi sulle pietre o nel camino.

Verso sera, quando il sole è già dietro le cime ma l´aria è ancora luminosa, mi riposo appoggiandomi coi gomiti al parapetto in legno del balcone. Fisso il lago e mi riempio gli occhi di tante, piccole, bellezze, la sagoma dei pini in controluce che ondeggiano alla brezza, un cerbiatto impavido che s´abbevera alla riva. E ascolto il suono del silenzio che è ricco di rumori, il ruscello canterino che ti ho detto, il fruscio dei rami al venticello, lo schiocco morbido delle pigne che si richiudono al fresco della sera, lo zampettare frettoloso di uno scoiattolo che corre lungo un tronco. Contemplo il lago e il bosco, che miei non sono eppure mi appartengono nell´animo, e mi lascio cullare da una sensazione strana di piacevole malinconia, per qualche istante intreccio felicità e tristezza, che se ci pensi sono due stati contigui, quasi inscindibili.

Poi mi scuoto, porto due dita in bocca e fischio forte, come un pecoraro che richiami i suoi animali. Fischio e aspetto. Prima arriva l´eco del fischio, sempre che non siano marmotte in vena di scambiare due chiacchiere con me, quindi tutto torna silenzio. E nel silenzio lo vedo, eccolo lassù nel cielo, si è lanciato dalla cima di uno di quei pini su a nord e plana lento verso il lago. Ha un volo elegante, ad ali spalancate e ferme, non un battito, non uno scarto dalla traiettoria rettilinea. Ho imparato a riconoscerlo per i colori vivaci che lo fanno assomigliare a una ghiandaia, e per il volo abile a sfruttare le correnti che quasi sembra un piccolo rapace. Arriva, sorvola il lago a pelo d´acqua, a volte afferra al volo un pesciolino incauto, più spesso si esibisce in piccoli volteggi e acrobazie, proprio quando ce l´ho davanti. E sempre emette un grido modulato, quasi gioioso, che a me sembra mi saluti. Ancora qualche passaggio allegro sopra al lago, poi riprende la via del nido. Lo guardo scomparire a poco a poco nella luce incerta della sera. Non so di che specie sia questo uccello amico, ma per me può avere un nome solo, inesistente ed esatto a lui: sì, è un passinbruno.



 
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