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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La finestra, di Grazia Giordani 16/01/2024
 

La finestra

di Grazia Giordani



Splendeva nel buio come un rettangolo di luce, nelle notti illuminate dalla luna; rettangolo mutevole, a seconda delle ore e delle stagioni, pronto a velarsi di nebbie o a colorarsi di albe e tramonti. Questa era la finestra di camera mia. Una finestra ampia, con scuri a quattro ante e un tendaggio lieve, quasi sempre tirato verso la parete, per lasciare libero lo sguardo di spaziare lontano.

Spesso alzavo gli occhi dal libro - quello che stavo leggendo, per scriverne una recensione -, e riposavo lo sguardo annebbiato, fattosi torbido per la lunga sosta sulla pagina, distraendomi alla vista mutevole che mi offriva l'apertura della finestra.

Cominciavo persino, con una sconosciuta tendenza al voyeurismo, a curarmi della vita dei vicini, per qualche rapido flash.

C'era un bimbo piagnucoloso, che vedevo di spalle, proprio nella casa di fronte, restio a fare i compiti, quasi disperato all'idea di mettere la testa sui libri.

Ogni giorno la stessa storia.

Al piano terreno della stessa casa vedevo due vecchietti, marito e moglie, seduti a tavola in silenzio, con gli occhi volti verso un lato della stanza, certamente seguivano un programma in TV.

Al piano superiore di un isolato più avanti, potevo solo intravedere e più che altro immaginare. Qui c'era una vasta terrazza sui tetti, sembrava piena di piante; avevo l'illusione di vedere un annaffiatoio irrorarle d'acqua al cadere del sole.

Peccato non poter gustare i particolari nelle minime sfumature. Mi sembrava che lassù si avvicendassero personaggi sempre diversi; non c'era la ripetitività di sagome e gesti dei miei dirimpettai - i vecchi e il bambino - di cui quasi udivo le voci, vedevo nitidamente il gestire, la copertina dei libri di scuola del ragazzino, il colore della tovaglia degli anziani sposi.

Lassù tutto era più misterioso, meno evidente, più opinabile, un po' per la distanza che mi separava dalla scena osservata e molto per la volubilità dei personaggi, vestiti con abiti sempre diversi e con mutevoli capigliature (parrucche? cappelli? Non avrei proprio saputo dirlo).

L'unica costante era rappresentata dagli orari, prevalentemente tardo pomeridiani. Non li avevo mai visti il mattino; raramente, a tarda notte, sembravano imbandire un lungo tavolo, ma non distinguevo né suppellettili né vivande.

Cenavano così tardi?

Giocavano a carte?

Nulla era chiaro.

Tutto avrebbe potuto essere.

L'estate cominciava a prendere i colori dell'autunno e già pensavo che gli estrosi abitanti del terrazzo presto si sarebbero celati alla mia vista. I primi freddi avrebbero certamente modificato le loro abitudini, inducendoli a vivere, nel chiuso delle stanze, la loro insolita esistenza.

Avrei dovuto adocchiare qualche altro spazio antistante, ben sapendo che i mesi freddi mi avrebbero offerto più avare occasioni di intrusioni visive nella vita altrui, svago a cui mi andavo morbosamente abituando, nella solitudine della mia vita di solitaria zitella, isolata, senza amicizie.

Quella sera non avevo voglia di leggere.

Pensai: Accendo la TV.

Spettacolo noioso.

Sonnolenza in arrivo.

Alzai gli occhi, senza speranza, in direzione del terrazzo.

Un gestire concitato colpì immediatamente la mia vista.

Braccia alzate.

Movenze scomposte.

Un revolver mi parve brillare, per un attimo in distanza, nelle mani di un uomo (o donna?).

Una sagoma cadde a terra.

Un correre scomposto sul piano del terrazzo.

Sempre più confusione.

Immagini sfocate di un grande disordine.

Il vicinato restava tranquillo.

Ai piani inferiori della casa nessun segno di allarme.

Che io abbia le traveggole - mi dissi?

Troppi film gialli?

Pensai di chiamare la polizia.

Mi trattenne la paura di passare per una zitella visionaria.

Quella notte mi rivoltai nel letto, cambiando opinione ogni minuto.

L'indomani non seppi trattenermi e, con la scusa di fare acquisti nel negozietto di porcellane sotto casa (a dire il vero non sapevo proprio cosa comperare, vista la scarsità dei miei desideri), finsi di aver bisogno di un servizio di tazze per il caffè, scegliendole con cura meticolosa per attaccar discorso con la commessa, preparando il terreno alla mia "indagine" sull'accaduto della notte.

Non sapevo da che parte cominciare.

Partii alla larga.

Alla fine mi decisi a raccontare l'accaduto.

"Ah, i ragazzi del terrazzo - mi rispose, sorridendo la commessa - hanno messo su una compagnia di prosa, sono bravissimi. Vada a vederli a teatro. Domani ci sarò anch'io fra gli spettatori. Mettono in scena un giallo".

Andai anch'io a teatro la sera dopo, mescolandomi a un pubblico vivace.

Lo spettacolo "rubato" dalla finestra ai miei occhi aveva perso tutto il suo interesse.


 
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