Annamaria Trevale è nata a Milano nel 1958, dove anche risiede.
Collabora a siti e riviste
letterarie online e dal 2005
ha costituito con gli scrittori Luigi Cristiano,
Giuseppe Marotta e Silvia Zanetto il gruppo informale
“Libri Nascosti”, che organizza letture di racconti, serate letterarie
multimediali in collaborazione con altri gruppi artistici e laboratori di
scrittura creativa nelle scuole.
Pubblicazioni:
Perché scrivi?
Direi soprattutto per
piacere personale. La scrittura per me è sempre stato il modo di espressione
migliore, perché trovo imbarazzante parlare in pubblico e purtroppo non ho
nessuna attitudine per altre forme artistiche: invidio moltissimo i pittori e i
musicisti, non so disegnare e non ho mai imparato a suonare uno strumento. Però
mi piace inventare storie.
Alla base di tutte le tue
opere c'è un messaggio che intendi rivolgere agli altri?
Ho scritto prevalentemente
racconti, in vari periodi della mia vita, e scegliendo soggetti spesso molto
differenti uno dall'altro,
perciò non credo di poter trovare un filo comune in tutti i miei
testi: direi che ogni racconto va letto per se stesso, perché esprime le idee e
le emozioni del momento in cui è stato pensato ed elaborato.
Ritieni che leggere sia
importante per poter scrivere?
Fondamentale. Uno
scrittore, o aspirante tale, che non legga è come un
musicista che non ascolti mai brani musicali, o un pittore che non osservi
altri quadri: qualcosa di anacronistico, insomma.
Che cosa leggi di solito?
Sono una lettrice curiosa
e per questo piuttosto disordinata, anche per carenza di tempo: cerco di
mantenermi aggiornata riguardo alla narrativa contemporanea, però ogni tanto
cerco di colmare le molte carenze riguardanti i classici che non ho avuto modo
di affrontare in passato, e spesso leggo saggi su argomenti che mi attirano
particolarmente, specie di argomento storico. Vorrei solo avere più tempo a
disposizione per eliminare la pila di libri arretrati in perenne attesa di
essere finalmente letti da me…
Quando hai iniziato a
scrivere?
Da ragazzina ero una vera
grafomane, riempivo pagine di diari, componevo poesie e scrivevo lettere
lunghissime agli amici, con l'idea che “da grande” avrei fatto la scrittrice,
ma quando ho iniziato a provarci il confronto coi libri che leggevo era così
disperante che ho abbandonato l'idea, e per parecchi anni ho fatto di tutto
tranne che dedicarmi alla narrativa.
Sono tornata a misurarmi
con la scrittura quasi per caso, molto tempo dopo, ormai alla soglia dei quarant'anni,
e stranamente, rileggendo ciò che avevo fissato sulla pagina, non ho più provato il vecchio
impulso di buttare tutto nel cestino, perciò ho continuato fino a scrivere un
libro.
I tuoi rapporti con
l'editoria.
Deprimenti, come penso che
siano per la stragrande maggioranza degli scrittori esordienti, o almeno questa
è l'impressione che ho ricavato dai numerosi scambi di opinione con altri
colleghi.
Che cosa ti piacerebbe
scrivere?
Un grande e corposo romanzo, magari
storico, di quelli che si leggono con profonda soddisfazione ma che nessuno
scrive più. Qualcosa come “Il Gattopardo”, tanto per intenderci, e non uno di
quei libretti striminziti di ottanta pagine, stampati con ampi margini e
caratteri ingranditi, spesso contrabbandati attualmente per “romanzi”.
Però immagino di non averne assolutamente la
capacità!
Scrivere ha cambiato in
modo radicale la tua vita?
Qualcosa ha cambiato, ma
non certo in modo radicale. Almeno non per ora…
Qualche consiglio per chi
ha intenzione di iniziare a scrivere.
Sembra sciocco, ma il
primo suggerimento è quello di studiare bene la grammatica italiana: troppo
spesso mi è capitato di leggere pagine pubblicate sui siti letterari online
contenenti degli errori grammaticali raccapriccianti.
E poi leggere moltissimo,
naturalmente.
E infine, scrivere solo se
si hanno davvero delle idee da esprimere e si è in grado di immaginare storie da
raccontare, che non siano soltanto le proprie elucubrazioni personali, perché
quelle di sicuro non interesseranno a nessuno.