Intervista
a Gianfranco Franchi, autore del romanzo “Pagano”, edito da
Il Foglio.
Gordiano Lupi, nella sua
prefazione, ha definito Pagano una
“Vita agra dei tempi moderni”. Come nel
bel romanzo di Bianciardi, c'è un protagonista che,
per vendicare le ingiustizie subite da altri, lascia il borgo natio per andare
nella grande città, che però distruggerà il suo sogno
con l'omologazione e la piattezza? In ogni caso ci vuoi parlare del tuo romanzo
dal titolo un po' strano?
“La vita agra” è
parte integrante della mia formazione, determinante nella mia coscienza di
letterato; naturalmente riconosco, da giovinastro classe ‘78, che Lupi mi ha
onorato molto accostandomi all'anarchico Bianciardi.
Borgo natio… la mia storia personale e famigliare è un po'
complessa. In estrema sintesi e semplificando: vengo da Trieste e dal suo
(perduto?) entroterra e quindi sono composto “del sì del da
del ja”, come scriveva Cergoly.
Abito nell'antica frontiera di Roma, il Gianicolo, e
non mi riconosco nella città ma nel mio quartiere, Monteverde
Vecchio. Come Trieste, vivo profondi contrasti relativi alla mia identità
culturale e alla mia appartenenza a una patria e una soltanto. A differenza della
Trieste odierna, disconosco lo Stato Italiano. E non nascondo nostalgie austriacanti,
confidando magari nel sogno di Illy, l'Euroregione. Armonizzare certi contrasti è complesso e in
ogni caso non è mai pacifico. Questa è una delle ragioni per cui il romanzo ha
(provocatoriamente) inizio nell'isola dalmata di Pago (ovviamente “Pagus”, villaggio), oggi croata, ribattezzata “Pag”. Quanto al rapporto con la grande città, in cui per
accidente sono stato cresciuto e allevato, io non ho chiesa, né partito, né clan:
non appartengo al complesso tessuto sociale di Roma, ho amicizie in diversi
ambienti ma nessun legame di appartenenza diverso dal tifo per la Roma. Sono totalmente
estraneo alla Roma pontificia, poi sabauda, italiana e dal 1943 vassalla angloamericana; mi riconoscerei, e mi riconosco, al limite,
in quella caduta nel 476.
C'è un messaggio in
questa tua opera e, se sì, quale?
I messaggi sono diversi. Dalla denuncia della
morte dell'Italia nel 1943, dal momento dell'occupazione militare del suo territorio
e dell'invincibile egemonia americana, economica e culturale, sullo Stivale;
dalla denuncia della condizione dei cittadini e dei lavoratori, costretti – da
riforme di stampo wasp, yankee – a perdere diritti,
tutele e stabilità, impossibilitati a progettare il futuro; dalla denuncia
della morte della Destra, corrotta e
consegnata al forzismo (socialismo craxiano e tenace idolatria teocon,
incubo patchwork: con classe dirigente partim già comunista, cfr.
Ferrara, Adornato, Bondi, Guzzanti,
etc), sino alla rabbiosa ricerca di serenità,
stabilità, equilibrio: in una nazione ridotta alla statolatria, nel nome d'una
sconfitta atroce e totale che nessuno pronuncia. Io l'ho fatto, a chiare
lettere. Perché non morirò servo degli angloamericani.
Assieme, rivendico la centralità e lo spirito del territorio (dei
territori), suggerendo – provocatoriamente – un ritorno all'istituzione
medievale dei Comuni, che mi sembra adeguata fonte di ispirazione per
forme-Stato diverse: più umane, democratiche, vivibili e riconoscibili. Meno
italiane.
Disconosco questa repubblica parlamentare. Flaiano
diceva che la corruzione è l'unico gioco rimasto ai
burocrati, nel “Diario notturno”. D'accordo, ma non voglio che giochino a
oltranza sulla mia e sulla nostra pelle.
Tu scrivi anche poesie,
anzi le prime pubblicazioni su carta stampata sono sillogi. Hai abbandonato
questo ramo artistico per passare alla narrativa o riesci a far coesistere
ambedue?
Sono successe delle cose. Cose
che non ho saputo rovesciare e dominare. Non riesco a scrivere versi da quasi due anni. Ho
pubblicato, in passato, delle raccolte “laboratorio”, perché in mente ho sempre
avuto la visione di un unico libro di poesia, un canzoniere strutturato,
aggiornato, modificato e integrato nel tempo; che potrebbe uscire, nella
versione 1995-2008, il prossimo anno. In passato, narrativa
e poesia coincidevano serenamente. Adesso no. Non so
cosa significhi, o forse non è il caso di dirlo.
Dopo “Disorder”,
raccolta di racconti uscita lo scorso anno, ora c'è questo tuo romanzo, opere
entrambe edite da Il Foglio. C'è un motivo particolare
nella continuità di rapporti con questo editore e in ogni caso quali sono gli
elementi più qualificanti?
Gordiano è un editore onesto,
libero e indipendente. Condividiamo la battaglia per
un'editoria pulita e per una nuova circolazione e distribuzione delle opere;
per una critica estranea ai condizionamenti editoriali (industriali); per una
letteratura nuova. Condividiamo letture, ci confrontiamo spesso, su Lankelot o in privato, a proposito di
letterature diverse, non solo italiana e cubana. Gordiano è un uomo
democratico, aperto e intelligente: fatalmente, non allineato a nessun partito
e a nessun movimento. È un uomo libero. Ci conosciamo virtualmente da una
decina d'anni, dai tempi in cui “Il Foglio” era una rivista e “Lankelot”
era solo il mio pseudonimo sulle riviste “Ouverture” e “Der
Wunderwagen”, che ci scambiavamo. È passato un po' di
tempo…
Lui è un uomo buono e generoso. Potrebbe dedicarsi solo alla sua
letteratura e alle sue pubblicazioni, invece si sfianca come editore donandosi
e sacrificandosi per i suoi autori. Correndo rischi economici e non solo, come
in questo caso: perché “Pagano” gli
alienerà delle simpatie. Lupi può andare oltre Longanesi,
è una figura eclettica, nuova. Potente, e tutta letteraria. Spero che quel che
rimane degli italiani sappia, presto, riconoscergli la sua grandezza e la sua
generosità.
Sei il responsabile di Lankelot, un sito letterario conosciuto ed importante.
Ritieni che abbia contribuito alla tua formazione culturale, il che penso sia
ovvio, ma in effetti quanto ha pesato Lankelot sul tuo grado di conoscenza?
Lankelot è fondamentale, per quanto mi riguarda. È un portale che si
avvicina, dopo quasi cinque anni di attività, inframezzati
da sei mesi di buio tra 2005 e 2006, ai 2000 articoli pubblicati: tutti
accuratamente selezionati, meditati, criticati, interiorizzati. Il contributo
della vecchia redazione è stato formidabile e costante nel tempo; i
collaboratori sono, come prevedibile, periodicamente cambiati. Sono stati circa 200.
Io sono cresciuto assieme a chi anima quello che un tempo era soltanto il mio
sito; a loro devo intelligenza, coraggio, fantasia, libertà, indipendenza e
autonomia nel giudizio. Oggi la loro lezione si rivela fondamentale, perché
ricevo un numero crescente di opere da editori sempre meno underground, diciamo
così. Ma mai mainstream, perché quei libri si
rifiutano a priori e si comprano a un euro dopo pochi mesi, per strada.
Con gli editori veri, i
piccoli e medi di qualità ai quali mi dedico, devo mantenere l'equilibrio, la
distanza, la professionalità e la cattiveria di sempre.
Anni fa, mi allenavo
recensendo libri su richiesta dei lankelottiani,
esercitandomi al confronto con artisti o editori del tutto estranei alla mia
formazione; e poi revisionavo ogni riga di ogni articolo di ogni collaboratore,
e impaginavo tutto. Come un cyborg.
Ho sempre dedicato link ad altri siti letterari. Noi siamo sempre stati
aperti, e pronti a “segnalare la concorrenza”. Perché non esisteva l'idea di
“profitto”, di “guadagno”, di “interesse”. Esisteva ed esiste solo l'arte, solo
la letteratura. Ho imparato diversi mestieri, in questi anni, stagista di me stesso e dei miei amici, autori o lettori
che fossero. E ho imparato che la comprensione è
possibile. E che siamo rimasti in pochi, letterati dico, liberi e indipendenti,
ma sappiamo riconoscerci. Pronti a batterci contro la prepotenza mercantile del sistema
editoriale, all'ultimo sangue. A tutela della memoria degli autori obliati, mai
emersi, laterali, censurati.
Dovessi crepare domani creperei contento pensando di aver creato Lankelot. Perché i ragazzi lo faranno vivere per sempre. Io
non servo più, già ora.
I tuoi programmi
letterari per il futuro.
Vorrei vedere pubblicata
“L'inadempienza”, quel mio canzoniere che ti dicevo; e
la traduzione completa e libera di tutti gli scritti di Ian
Curtis, scritta due anni fa. Intanto sto lavorando
alla seconda stesura della terza parte della trilogia intrapresa con “Disorder” e “Pagano”, e ho un vecchio romanzo, “L'ombra”,
che non dimentico e dovrò riscrivere, perché là vive una persona che ho perduto
per sempre. Questo per quanto riguarda poesia e narrativa. Per quanto concerne i miei sentieri di ricerca critica, trovi
passato e presente qui: http://www.lankelot.eu/?biografia=34
Ad oggi, 4 settembre, si tratta di circa 650 articoli. A
disposizione di tutti, da sempre: commentabili e linkabili.
E pieni di richiami ipertestuali ai migliori siti di critica letteraria, quelli
liberi. A loro – a te – va il mio saluto.
Grazie, Gianfranco, e ovviamente auguri
per “Pagano”.
Pagano
di Gianfranco Franchi
Edizioni Il Foglio
Pagg. 150
ISBN: 9788876061585
Prezzo: € 10,00
COME ORDINARE
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